giovedì 28 marzo 2013

LA PASQUA DI PAPA FRANCESCO E LE CARCERI


“Ero carcerato e mi avete visitato”. Saranno probabilmente queste le parole che papa Francesco avrà avuto in mente quando ha scelto di dare inizio al triduo Pasquale nel carcere minorile di Casal del Marmo. Al di là però del precetto evangelico di visitare i carcerati, il gesto del Pontefice assume un significato ulteriore di denuncia della situazione inumana in cui versano molti carcerate e della susseguente e sostanziale inutilità del carcere come strumento di correzione e di educazione di chi ha sbagliato e deve essere reinserito nel corpo della società.

Abbiamo chiesto un commento a Salvatore Ferraro, autore per Rubbettino del recente volume “La pena visibile”:

SALVATORE FERRARO: La pasqua di resurrezione di Papa Francesco ha inizio da un carcere. Ecco il segnale del cambiamento in corso. Vicinanza, solidarietà, per la prima volta, il sacro lavaggio dei piedi dispensato anche a una donna. Ma oggi in carcere, in tutte le carceri italiane accanto a questo bellissimo messaggio d'amore tutto cristiano, aleggerà il peso di una situazione insostenibile.
La fine di questo modello antiquato e improduttivo di sanzione è d’altronde, ormai, alle porte. La crisi finanziaria internazionale sta presentando i suoi conti. L'impatto è duro, durissimo. Dappertutto.
Colpirà anche le prigioni. Il mondo delle galere non avrà condoni.
Oggi punire con  il carcere costa ogni anno al nostro Paese due miliardi e mezzo di euro (nel 2007 si toccò la cifra record di tre miliardi e novantacinque milioni). In circa dieci anni si è arrivati a spendere ben 29 miliardi di euro. Sarà ancora possibile affrontare questi costi?
E soprattutto...per quale ragione continuare a sostenerli?
Il dato  pacifico sul carcere è questo: l'assenza di risultati positivi.  Questa vetusta forma di sanzione, in termini di riduzione della criminalità, ricollocazione del reo in un ambito lavorativo e recupero della regola violata,  è approdata a risultati pari allo zero. Al contrario, il mantenimento del costoso sistema punitivo tradizionale vede il tasso di recidiva sempre altissimo: i recidivi sono il 68% della popolazione carceraria.

"Più di due terzi delle persone che escono dal carcere commettono nuovi reati"
 Gherardo Colombo  - Magistrato

Questo significa non solo che il carcere, in tutti questi anni, non è stato in grado di orientare, modellare, intervenire sulle scelte future del detenuto verso regole e valori condivisi ma, più paradossalmente, è stato esso stesso un forte contribuente nel consolidare e rafforzare nel detenuto propositi devianti.
D'altronde, una filosofia afflittiva fondata sulla reclusione, sull'inerzia, sull'isolamento, la separazione netta dalla società, la promiscuità con altri rei  non poteva e non può insegnare a risocializzare. Né può creare nel reo scenari diversi, percorsi diversi, interessi nuovi. Al massimo, può vittimizzare, deresponsabilizzare e rendere, in virtù della promiscuità, più solidi e suggestivi gli input dell'ambiente deviante che il reo ritrova in carcere.

La resa è, dunque, iniziata. La stoccata non è solo di tipo economico.
Il quadro è ulteriormente peggiorato dalla scelta, quasi obbligata, delle professionalità carcerarie che, evidentemente avvilite, demotivate, fiaccate da un andazzo che procura solo frustrazione,  optano per "l'immediato ritiro delle truppe dal campo di battaglia".

"Questi professionisti del «trattamento», poco a poco, si sono rifugiati negli uffici, abbandonando il campo di battaglia…"
Lucia Castellano - direttore carcere


 Poliziotti ed educatori, psicologi e personale scelgono di auto-recludersi negli uffici, nei ministeri, scelgono la via burocratica perché evidentemente saturi di un sistema che non ha più ragione di esistere (almeno per quel 94,6% di detenuti ritenuti non pericolosi). E oggi di questi due miliardi e mezzo di spese annuali quasi l'80% (il 79,2%) è destinato al mantenimento della burocrazia penitenziaria: ossia a carte bollate, uffici, amministrativi, dirigenti ecc. , il 13% alla cosiddetta "rieducazione" del detenuto,  4,4% all'ordinaria manutenzione delle carceri, il 3,4% al mantenimento di alcuni servizi (sì, insomma, le bollette di luce e acqua).

Per la rieducazione del reo vengono in media spesi 0,08 centesimi al giorno!!!! o meglio 2,6 euro al mese!!! e provare a "creare" un nuovo posto in carcere per un detenuto costerebbe alla collettività 27.638,30 euro a cui andrebbero però aggiunte le spese ulteriori per l'aumento della sorveglianza, il personale ecc.
E allora, che fare?
Mantenere questo stato di cose è impossibile. E' ora di pensare seriamente a qualcos'altro.
Basta carcere. La pena sia, dunque, visibile. Utile, produttiva ed economicamente più vantaggiosa. Una sanzione espiata fuori le mura (per i detenuti non pericolosi, ossia il 94,6% della popolazione carceraria) consentirebbe un notevole risparmio economico: almeno il 50%.
Riflettiamoci...ma non troppo a lungo!





Il libro
La pena visibile è una teoria dell’esecuzione penale che mira a dimostrare come l’esperienza dell’utilizzo del carcere, quale luogo ideale e irrinunciabile dell’esecuzione della sanzione penale, deve ritenersi finita: causa fallimento. Questa teoria non si limita a offrire fatti e argomentazioni atti unicamente a descrivere e provare le ragioni di questo fallimento. È una teoria che aspira a molto di più. Essa, infatti, oltre a offrire ragioni nuove e più profonde nello spiegare dove e in che modo il carcere abbia rivelato i suoi lati deboli, paradossali e contraddittori, mira a modellare un nuovo scenario esecutivo della pena: alternativo, utile e produttivo. Questo modello è fondato su una specifica qualità: la visibilità, ossia la possibilità, da parte della società e della vittima del reato, di partecipare il percorso sanzionatorio inflitto al reo; e muove da due presupposti, meglio, due urgenze fondamentali: ricreare intorno al reo un nuovo ambiente «condizionante» e dissolvere «l’ambiente carcerario».

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