mercoledì 20 aprile 2016

LINGUAGGI

LINGUAGGI
(Autolesionismo)

E bisogna, allora, parlare così. Con se stessi. Su se stessi. Assassinandosi.
Autolesionismo. Un nuovo linguaggio. Un modo nuovo per poter parlare… Col ferro ricavato da certi rasoi si finisce per protestare le proprie ragioni spendendo il proprio stomaco o le proprie braccia. E il sole la mattina racconta di queste nuove parole, segni secchi e profondi su braccia e ventri tatuati, coniate a mano dal silenzio e dalla disperazione sempre muta. Senza risposta. Senza più vita(da Radiobugliolo, 2002, di S. Ferraro)

Makram si era cucito le labbra. Con ago e filo. La sua bocca ora sembrava una cerniera di carne tenuta stretta da un'erba sottile. La voce gli usciva flebile, solo un indistinguibile mugugno, ma ora si faceva finalmente ascoltare. 
Molti anni prima, Giorgio aveva fatto qualcosa di simile. Si era inchiodato i testicoli su uno sgabello. Stessa ragione: farsi ascoltare.
In genere, il linguaggio che si usava in carcere per farsi ascoltare era meno eclatante: ci si tagliuzzava un braccio, si lacerava lo stomaco, si accoltellava la gola. Quasi sempre si utilizzava un rasoio ricavato da una scatoletta di tonno.
A parlare era poi il sangue che colava a caldi fiotti preceduti tutti da un veloce, impetuoso, zampillo e le orecchie del penitenziario finalmente si aprivano. Anche se per poco. Ma si aprivano.
Era un linguaggio partorito dal silenzio. Puro silenzio.
Ed era anche un silenzio totale a precedere quel gesto. Quasi sempre di notte: una voce secca, sicura, diceva: "Guardia venga alla cella numero 10!".
Significava che un detenuto voleva essere ascoltato. Sangue, odore di sangue e non solo.
Non finiva lì. Quello era un linguaggio perenne. Ogni giorno quell'esercito di silenziosi) era ben visibile agli occhi di ognuno.
Braccia, gambe, colli e ventri attraversati da solchi profondi, tagli di lametta, come strade irregolari. Un tempo, attraversati da rivoli abbondanti di sangue. Ora più simili a torrenti secchi. Quei tagli erano le loro parole, le sole possibili lì dentro. Per essere ascoltato. In carcere succedeva sempre così.
Le parole, quelle vere, erano finite, asciugate, morte.
E non uscivano più, da tanto tempo, da nessuna parte.

di S. Ferraro da "Galera, le ultime incisioni"



lunedì 11 aprile 2016

PALLE

"Burracchio" mi raccontò che da giovane era stato un guerriero Ninja.
Mi disse anche che era stato agente penitenziario nelle carceri del Venezuela, che sua moglie era Miss Italia edizione 1989 e che lui si era laureato in Legge "direttamente con Giulio Andreotti".
"Sperduto", invece, era stato fidanzato con Monica Bellucci, suo cugino era stato nientemeno che il costruttore del ponte che attualmente unisce Messina con Reggio Calabria e Vasco Rossi era da tempo suo intimo amico.
La barca del "Capitano" era lunga venti metri, la casa del "Malizia" era di 500 metri quadrati, "Febi" aveva un tesoro messo da parte, il "barese" era ricco sfondato coi soldi fatti vendendo scarpe sotto la metropolitana di Bucarest.
La forza del carcere era proprio questa: annullava la tua vera identità. In carcere ti potevi inventare quello che non eri e diventarlo davvero per giorni, mesi, anni.
Per molti era un regalo inaspettato. Potersi ricostruire una biografia,  una nuova vecchia esistenza, rendere il proprio passato più interessante e movimentato. Renderlo, soprattutto, ricco.
....anche per questo molti, una volta usciti di galera, desideravano ritornarci il più presto possibile

(di S. Ferraro, da "Galera, le ultime incisioni")




sabato 9 aprile 2016

LA PENA VISIBILE: ALCUNI GIUDIZI DEI LETTORI

Sto leggendo il tuo libro. lo trovo interessantissimo, ben scritto e soprattutto invita a guardare le cose da un altro punto di vista. merita il successo! oggi ne ho lette alcune pagine in classe. Tutti hanno apprezzato, anche quelli perplessi

(E. A.)


CIAO Salvatore, Il libro mi è sinceramente piaciuto e , ti dirò di più, mi ha convinto. Non ho mai creduto all'efficacia del carcere neanche quando ci lavoravo. Però mi hai chiarito alcune idee sulle logiche paradossali su cui si basa.

(A.B.)


Ciao Salvatore, ho letto il libro e devo dire che concordo pienamente su tutto quello che hai scritto a tal punto che se potessi ti nominerei MINISTRO della GIUSTIZIA seduta stante. 
p.s. l'hai scritto in maniera perfetta, capibile ed esaustiva. Veramente un opera degna di nota !!!

(D. M.)


Ciao Salvo... anche io ho una grande fortuna.... aver letto il tuo libro! Direi che è stato illuminante, molto impegnativo, ma molto molto illuminante
(C.M.)

Vera rivoluzione. Grande
(R. G.)

Caro Salvatore,
davvero tanti complimenti per il saggio.
Hai uno stile incredibilmente efficace che ti ha consentito di scrivere un'opera che riesce ad essere al tempo stesso "colta" e "divulgativa".
Nella prima parte, con una velocità ed una chiarezza disarmanti, riesci a demolire tutti i pregiudizi sulla inevitabilità del carcere. E lo fai talmente bene che, quando si apre la seconda parte, il lettore non può non condividere la soluzione da te proposta, o almeno rimanerne suggestionato.
Consentimi una riflessione personale: hai subito un'immane ingiustizia, ma non essendo tu "uno dei tanti" sei riuscito a dare un senso anche alla tua incredibile vicenda. Se fossi rimasto "prigioniero" del mediocre e conformista mondo accademico, non saremmo qui a parlare della pena visibile. Questo non è certamente il "lato positivo" della tua vicenda, ma è un insegnamento per tutti e ti fa davvero tanto onore.

Con immensa stima
(C. F.)


E' sidernese, l'autore letterario che ha sconvolto la mia visione sulla letteratura della segregazione e molto di più...
(F. C.)



DIGRESSIONE...


E' successo stamattina in un Bar di Viale Ippocrate. La più classica delle scene. Una mosca nera atterra sul volto di un anziano e ci passeggia sopra. Questi, infastidito, è solerte a mollarsi un cinquino in faccia di violenza inaudita. Risultato: la mosca, stordita, vola via, la faccia dell'anziano però rimane devastata. 
Non so a voi ma a me è sembrata una perfetta metafora del modo in cui stiamo provando a risolvere i problemi in questi tempi.
(S.F.)