mercoledì 18 dicembre 2013

CARCERE: SI LAVORA COI PICCOLI NUMERI E CON LE MICROSCOPICHE MANUTENZIONI TRALASCIANDO LA VERA "RISTRUTTURAZIONE"

Sulla questione carcere si tergiversa troppo. Si sistema qualche piccolo problema, se ne procrastina qualcun altro di più pesante e urgente. Si lavora coi piccoli numeri e con le microscopiche manutenzioni tralasciando la vera ristrutturazione che dovrebbe passare attraverso una drastica rilettura del modello punitivo in sé nonché da una sfrondata (con aggiornamento annesso) decisa al vetusto Codice Penale che da anni ormai parla a un consorzio sociale che non esiste più.
il Decreto varato ieri è, per carità, un razionale passettino in avanti sul terreno della "buona gestione" del problema del sovraffollamento, soddisfa l'esigenza di acquietare qualche animo, ha il pregio di non affermarsi attraverso una misura deflattiva come l'indulto che, in questo momento storico, si rivelerebbe disastrosa.
E' una misura che si giova della matematica: 30 giorni di scarcerazione anticipata in più, alzi di un anno il tetto per accedere all'affidamento in prova e...tremila reclusi sono fuori!
Matematica, appunto.Il diritto c'entra poco.
E', altresì, una misura che supporta, "sponsorizza", in maniera esasperata la misura detentiva "domiciliare" e sebbene, al momento, la stessa potrebbe rivelarsi utile per drenare un po' di umanità fuori dalle mura sottraendola alla tortura dell'infernale delle nostre prigioni  c'è un'inquietudine di fondo che tali scelte lasciano inevitabilmente trapelare: perché la scelta dei domiciliari? E' un "parcheggio provvisorio"?  E', al contrario, una scelta che lascia intravedere scenari futuri della sanzione
Ci sono ragioni forti per sottrarre ai "domiciliari" la valenza di "buona" sanzione (intendiamoci, qualsiasi sanzione diversa dal carcere è sempre più utile del carcere), ragioni che provo a esporvi qui sotto ripescandoli dalla mia recente pubblicazione presso l'editore Rubbettino "LA PENA VISIBILE

Gli arresti domiciliari? No, grazie!
Anche gli arresti (tecnicamente "detenzione") domiciliari hanno dimostrato, nel tempo, di essere una misura in grado di contenere il fenomeno della recidiva. Sono una sanzione dotata di una certa forza e, sul piano afflittivo, hanno spesso dimostrato peculiarità più incisive rispetto alla pena carceraria.Gli arresti domiciliari contengono, però, rispetto al carcere, delle positività importanti: permettono, per esempio, al reo la coltivazione degli affetti familiari, limitano l’interazione con ambienti «inquinati», realizzano una delle forme di auto-controllo più interessanti ed efficaci il cosiddetto meccanismo del reo carceriere di se stesso.Gli arresti domiciliari, però, soffrono di palesi limiti e controindicazioni dovuti, principalmente, alla natura prettamente «domestica» della misura. Condizione che finisce per riprodurre, in negativo, alcuni momenti della reclusione intramuraria. Infatti, gli arresti domiciliari:

a. non responsabilizzano;
Il reo è ristretto a casa propria. In questo modo gli vengono precluse tutte le attività responsabilizzanti. Così, dopo un po’ di tempo, la misura ricrea quello stato di convalescenza carcerario che è uno dei meccanismi più deresponsabilizzanti. Il reo «non può fare», egli è assistito (spesso, riverito) dal nucleo familiare. La condizione esclusivamente domestica nega al reo qualsiasi tipo di interazione attiva obbligandolo, di fatto, a non poter essere responsabile, a non progredire, molto più spesso a regredire.

b. Sono inerti e improduttivi;
La costrizione domestica, a lungo andare, abbrutisce. Essa si concretizza in una interminabile sequela di azioni identiche e ripetute che agevola l’inerzia e il torpore. L’assenza di attività vera rende questa misura improduttiva e sterile;

c. Vengono eseguiti in un ambiente troppo permissivo e non nuovo;

L’ambiente familiare, anche quello più sobrio e virtuoso (e non è sempre la regola) difficilmente potrà costituire per il reo un sistema di interazione che rinnova credenze e valori e sia in grado di comunicare riprovazione. L’ambiente familiare è un nucleo sociale troppo conosciuto che si pone, spesso, con remissività rispetto alle esigenze, agli stessi voleri del reo. Esso riproduce dinamiche e interazioni sociali ripetute, in qualche modo, usurate da un pregresso troppo consolidato: insufficiente quindi a modificare o condizionare in senso sostanziale le scelte future del reo.

d. Rendono difficile la pratica della regola positiva;
L’ambiente familiare, per le stesse difficoltà di cui sopra, ben difficilmente potrà instaurare una serie di relazioni e interazioni attive finalizzate alla pratica della regola positiva (da La Pena visibile, di Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore, pagg. 101-102)

Ecco, ben venga questo decreto che, in quanto tale, si inserisce con tutta la sua provvisorietà e interlocutorietà tutta emergenziale a offrire una piccola ma significativa manutenzione all'obbrobrio  delle nostre prigioni.  Non cadiamo, però, nella trappola (anche in buona fede) di vedere in questi modelli degli scenari futuri auspicabili della sanzione penale. Il percorso da fare è tutt'altro...




da La Pena Visibile (o della fine del carcere), di Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore

giovedì 28 novembre 2013

LA PENA VISIBILE: CONVEGNO A RIETI



Venerdì 29 Novembre dalle ore 15,00 a Rieti - Palazzo Dosi (piazza Vittorio Emanuele II) si parlerà di carcere, misure alternative, amnistia e  PENA VISIBILE

Interverranno:

Avv. Giuseppe Belcastro, Foro di Roma

Avv. Anselmo De Cataldo, Docente di diritto processuale penale

Avv. Alessandro De Federicis, Responsabile dell'Osservatorio Carceri dell'Unione Camere Penali

Avv. Salvatore Ferraro, autore del libro LA PENA VISIBILE (o della fine del carcere) 







La pena visibile" è una teoria dell'esecuzione penale che mira a dimostrare come l'esperienza dell'utilizzo del carcere, quale luogo ideale e irrinunciabile dell'esecuzione della sanzione penale, deve ritenersi finita: causa fallimento. Questa teoria non si limita a offrire fatti e argomentazioni atti unicamente a descrivere e provare le ragioni di questo fallimento. È una teoria che aspira a molto di più. Essa, infatti, oltre a offrire ragioni nuove e più profonde nello spiegare dove e in che modo il carcere abbia rivelato i suoi lati deboli, paradossali e contraddittori, mira a modellare un nuovo scenario esecutivo della pena: alternativo, utile e produttivo. Questo modello è fondato su una specifica qualità: la visibilità, ossia la possibilità, da parte della società e della vittima del reato, di partecipare il percorso sanzionatorio inflitto al reo; e muove da due presupposti, meglio, due urgenze fondamentali: ricreare intorno al reo un nuovo ambiente "condizionante" e dissolvere "l'ambiente carcerario"





martedì 22 ottobre 2013

MA IL VERO PROBLEMA DEL CARCERE RESTA SEMPRE... IL CARCERE



Quando si parla di carcere  (chissà perché?) si pensa solo al problema del sovraffollamento. 
In tal senso, ognuno ha già pronta la sua ricetta: c'è chi è convinto, per esempio, che per risolvere il problema basterebbe costruire nuove carceri, chi, invece, sostiene che sarebbe sufficiente rispedire i tanti detenuti stranieri ai rispettivi Paesi di provenienza. I più dotti e raffinati denunciano, inorriditi, il degrado delle carceri di oggi considerandone le condizioni di vita inaccettabili per un Paese che voglia dirsi civile e auspicano, con eleganza, il concepimento imminente (!!!) di galere "più a misura d'uomo". 
C'è quello che si accorge che il codice penale che disciplina i nostri reati è addirittura del 1930 e che forse "parla" a un Paese che non c'è più. Chi guarda in faccia la realtà e sottolinea che sarebbe il caso depenalizzare i reati concernenti gli stupefacenti.

Posizioni, apparentemente diverse e discordanti, con un fortissimo e decisivo punto in comune: non riescono a rinunciare all'esistenza del carcere.

Il carcere è un prodotto culturale ormai superato, vetusto, "fuori dalla storia". Un prodotto che ci affanniamo a conservare, difendere, come una relazione sentimentale stanca, sfibrata ma che si ha paura di perdere.
Il carcere è dentro di noi. Siamo cresciuti con esso. Ci è stato insegnato che serve a proteggerci, a isolarci dal male...
Eppure, più di trecento anni fa, alcuni giovanotti dell'aristocrazia milanese (Tali Beccaria, Verri ecc.) compresero bene che ogni idea di punizione, ogni tecnica di punizione, ogni modello di sanzione è sottoposto a un'usura sociale e a un'evoluzione tecnico-giuridico. Forse fu per questo che essi propugnarono l'abolizione delle forche, degli squartamenti pubblici, dei patiboli e delle gogne. Idee nuove che sconvolsero l'opinione pubblica così assuefatta e rassicurata dalle pregresse, bestiali (per noi, oggi), forme punitive.
La magia fu una sola: lo fecero. Punto.
Il carcere, trecento anni fa, rappresentò l'avanguardia, la scelta illuminata. Un mezzo di contenzione che aboliva gli abomini delle torture e determinava l'essenza della punizione nella privazione completa della libertà. Quello che, allora, sembrava inimmaginabile fu immaginato e, di conseguenza, realizzato.
Un'idea, appunto.
Oggi il vero problema del carcere è il carcere dentro di noi, quello che ci impedisce di guardare "oltre" questa forma di sanzione che, ormai logora, dopo trecento anni di carriera, ha inevitabilmente manifestato tutti i suoi limiti, le sue contraddizioni, le sue perversioni. Un modello punitivo che sta "avvelenando" la Società con il suo gettito continuo di recidiva, di qualificazione criminale e regressione psico-fisica.
Sarebbe sufficiente fare poco: spostare il baricentro della sanzione dalla realtà tumulante della cella, dalla inerte e congelante contenzione della prigione, a modelli di sanzione "aperti", limitativi ma non totalmente soppressivi della libertà, dentro la società e non fuori....
Il "miracolo" che si chiede alla collettività e ai suoi rappresentanti, in fondo, è di lieve entità: cominciare a "liberarsi" dal carcere, da quell'ingombro interiore somministrato come medicina che cura "il male", da quel ormai consolidato fallimento del diritto di cui fra decine di anni rivedremo, con orrore, il vecchio film... e  provare una nuova idea, un nuovo progetto, un nuovo percorso.
Il momento di farlo è arrivato...

"Fra mezzo secolo si parlerà del carcere come noi oggi parliamo dei patiboli di una volta, delle catene e dei condannati squartati" (Alain Brossat)


La Pena Visibile, di Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore

e ora anche in formato eBOOK
http://www.ebook.it/E/Rubbettino_Editore/Salvatore_Ferraro/Scienze_umane/ePub/La_pena_visibile.html

martedì 15 ottobre 2013

E PIU' DI UNO STATO SI AVVIA (A PICCOLI PASSI) VERSO "LA PENA VISIBILE"



Cominciai a parlare de "La Pena Visibile" illustrandone, ancora in forma embrionale, gli aspetti peculiari nell'autunno del 2006, in sei articoli pubblicati sul giornale telematico "Radicali Italiani".
Gli articoli erano piaciuti, erano circolati in qualche blog. Qualche cattedratico, addirittura, mi aveva confessato di aver seguito lo sviluppo di quel mio ragionamento (allora, ancora magmatico e frammentario)  e "atteso con trepidazione" le sei diverse "puntate" in cui si avvicendavano le diverse analisi coi nuovi scenari della pena da me prospettati.
Risultato: La disamina del problema carcere era molto piaciuta ma la proposta finale, la radicale trasformazione che prospettavo per il vetusto modello punitivo carcerario, aveva destato qualche perplessità: "troppo pioneristico", all'"avanguardia", addirittura "utopistico", erano i commenti più frequenti anche tra i più ottimisti.
Da allora sono trascorsi più di sette anni e tante cose sono cambiate.
L'anno 2013, come più volte ricordato, ha segnato in tutta evidenza l'inizio di una graduale trasformazione della sanzione penale. Tale trasformazione, nel giro di 15 anni, porterà alla completa liquidazione delle prigioni (con qualche eccezione per i reati più pericolosi, l'attuale 4,5% della popolazione carceraria) e la scelta di modelli sanzionatori diversi, dentro la società.
C'è una premessa irrinunciabile, un punto di partenza da cui tutte le società devono muovere e far partire la propria riflessione:  tumulare in carcere non ha più senso.  Più di trecento anni di utilizzo delle celle, dell'isolamento, della promiscuità tra "criminali", hanno suggellato il fallimento di un metodo punitivo che vittimizza il reo anziché consapevolizzarlo, lo deresponsabilizza anziché incentivarlo, lo fa regredire psicologicamente anziché dotarlo di maggiori istanze positive. Un modello fondato sull'isolamento, il congelamento, l'inerzia, la passività e, soprattutto, la frequentazione di un unico consesso sociale: quello criminale. Un sistema, pertanto, che già in partenza, rinuncia al cambiamento in positivo del detenuto e pare voler avallare l'ineluttabilità di un suo rientro in carcere, una volta liberato, come "recidivo". Un modello che produce insicurezza e più criminalità sperperando, per ottenere questi infausti risultati, ben due miliardi e mezzo di euro all'anno (nella sola Italia).
Questo punto di partenza è stato ormai interiorizzato, acquisito, da più di uno Stato.

Spostare il baricentro della pena dal carcere alla società è ormai una necessità inderogabile.

La Pena Visibile è un percorso ormai chiaro, concreto, auspicabile e più di uno Stato si sta attrezzando per percorrerlo riproducendone i tratti salienti.
La Francia, per esempio, ha avviato un importante progetto di riforma che la vedrà, a partire dalla primavera del 2014, lavorare su un modello sanzionatorio che preveda l'abolizione del carcere per determinati reati e l'adozione, per il reo, di un percorso "aperto", all'interno della società, liquidando di fatto e per sempre l'utilizzo delle celle e della separazione del reo dal consesso civile positivo.
Ancora più forte e altrettanto spiazzante è stata la posizione adottata dagli Stati Uniti che, dopo il clamoroso fallimento della politica a "tolleranza Zero", per bocca del suo Procuratore Generale (una figura equiparabile al Ministro della Giustizia) Eric Holder ha sottolineato la necessità di una riforma che prenda in considerazione una premessa di fondo. "l'utilizzo del carcere per reati minori è altamente controproducente, non serve a garantire sicurezza al paese e, al contrario, favoriscono un circolo vizioso di povertà, criminalità e carcere che intrappola troppi americani e indebolisce troppe comunità. D'ora in poi le pene più severe verranno applicate ai grossi criminali mentre le persone che hanno commesso reati minori saranno sottoposte a trattamenti disintossicanti e a svolgere servizi per la comunità". Alle dichiarazione del Procuratore Holder si è subito affacciato lo Stato del Kentucky che, con una nuova legge, ha stabilito l'utilizzo del carcere solo per chi ha commesso reati gravi. Col grande risparmio economico che ne deriva, le altre risorse saranno investite in pene alternative.
Anche il Belgio, in tal senso, per quanto in una situazione di problematicità sottodimensionata rispetto ad altri Paesi, ha deciso di rinunciare al carcere "liberando", a partire dal settembre 2013, il 40% della popolazione carceraria destinandola agli arresti domiciliari, misura, in qualche modo, anche opinabile ma inequivocabile segnale dello sbrecciamento  che il mondo delle prigioni sta attraversando.

Spostare il baricentro della pena dal carcere alla società è ormai una necessità inderogabile.

L'anno 2013 segna la data di inizio di questo percorso.




La Pena Visibile (o della fine del carcere), di Salvatore Ferraro, Rubbettino editore, 2013







lunedì 26 agosto 2013

IL CARCERE HA ORMAI GLI ANNI CONTATI

L'anno 2013 ha segnato l’inizio di quell’inesorabile percorso che porterà all'abolizione delle prigioni.
Sanzionare certi reati con la reclusione carcere è ormai “fuori dalla storia”.
Nel giro di 15 anni massimo, le galere, ossia il modello punitivo attraverso la tumulazione della persona, spariranno definitivamente: almeno per il 95% delle fattispecie criminali.
A determinare tale radicale trasformazione non saranno spinte di tipo culturale, prese di posizione illuminate o visioni riformatrici da parte di governi lungimiranti ma piuttosto un mix di situazioni (l'insostenibilità economica prima fra tutte) più tenui nella forma e nella sostanza che, però, eroderanno, nei tempi preannunciati, le pareti e il cuore di un modello punitivo che (da tempo)  non ha più ragione di esistere.
La sanzione dovrà essere praticata fuori le mura e dentro la società con una modalità che sarà molto prossima se non identica a quella de “La Pena Visibile”.

La  situazione  italiana attualmente è questa: sul piano economico, mantenere l'attuale modalità punitiva carceraria costa allo Stato due miliardi e mezzo di euro all'anno, negli ultimi dieci anni è costato 21 miliardi di euro, un detenuto costa 180,00 euro al giorno. Ripeto: 180,00 euro al giorno.

Un detenuto: “Aho’ allo Stato je costamo 180,00 euri al giorno!...aho’ 180,00 euri al giorno! Ma si me davano solo la metà…da mò che avevo smesso de ruba’!!!!”

Se poi andiamo a vedere i risultati ottenuti dal carcere grazie al dispendio di queste preziosissime risorse economiche ci accorgiamo che: il percorso opaco, invisibile, dentro le mura di un reo (o presunto tale), il suo stagnare passivamente in promiscuità con altri "delinquenti", la vicinanza con figure più altolocate del crimine, l'assenza di riferimenti ambientali e culturali diversi, creativi, crea strutturalmente (e fattivamente) questi risultati: il reo ricommette (un detenuto su due, una volta fuori, delinque) il reato. Oggi quasi l’80% della popolazione carceraria è destinata alla recidiva. Fallimento, quindi.

“Più di due terzi delle persone che escono dal carcere commettono nuovi reati. Si può trovare un’alternativa? Può lo società stipulare con loro un patto di reciproca responsabilità?”
(Dott. Gherardo Colombo, ex-Procuratore)

Un’analisi più strutturata del percorso (invisibile per la società) del condannato dentro le mura di un carcere evidenzia che il modello sanzionatorio fondato esclusivamente su tumulazione, isolamento, passività porta a questo: vittimizza il detenuto, lo fa auto-assolvere dal reato, lo spoglia delle residuali risorse positive, lo qualifica criminalmente, lo degrada, procura pesanti regressioni psicologiche. Con una ricaduta spesso inesorabile di questi nella devianza e un conseguente danno per la società e la sua sicurezza.
E sul piano strettamente punitivo? Niente. Il detenuto, col trascorrere del tempo in inattività, passivamente, “convalescente”, attua un processo di assuefazione totale alla privazione della libertà e adatta
Fallimento, quindi.

Sanzionare con la prigione, con il carcere, è ormai “fuori dalla storia”.

A dare man forte a questa previsione, c'è la (davvero inaspettata) presa di posizione di qualche settimana fa del Procuratore Generale degli Stati Uniti (una figura istituzionale equivalente al nostro Ministro della Giustizia) Eric Holder che ha comunicato al suo paese l'esigenze (la "prepotente urgenza" direbbe qualcuno)  di un drastico mutamento nella concezione della pena  in quanto "le prigioni sono diventate troppo costose da mantenere e, soprattutto, per i reati minori si sono rivelate controproducenti, non servono a garantire maggiore sicurezza al Paese e, al contrario, favoriscono un circolo vizioso di povertà, criminalità e carcere che intrappola e indebolisce la comunità. Vista la quantità sproporzionata di persone detenute dobbiamo fare in modo che il carcere sia utile e non diventi un magazzino  o un dimenticatoio. D'ora in poi le pene più gravi verranno applicate solo ai  grossi criminali mentre le persone che hanno commesso reati minori dovranno svolgere servizi per la comunità"
Cioè, quello che è stato negli ultimi 20 anni un modello di "tolleranza Zero" è oggi il primo ad "alzare le mani" e invocare un drastico cambio di direzione nel modo di gestire la sanzione penale.
In pratica, la visione prospettata da "La Pena Visibile". Lo scenario definitivo che si affermerà dal prossimo decennio e che obbligherà molti Stati a entrare in un’ottica sanzionatoria diversa: la creazione di un nuovo percorso sanzionatorio che rinunci (almeno per i reati non gravi) al modello totalmente soppressivo e tumulante dell’antiquata prigione e riesca a perimetrale una pratica reale, sociale, della regola che responsabilizzi, da una parte, il reo e, dall’altra, gli dia la possibilità di percorrere consessi sociali più ricchi e variegati possibili consentendogli di ripristinare, responsabilmente e attivamente, il suo rapporto con la società.

“I pericolosi sono la netta minoranza: circa 9.000. E’ logico e opportuno applicare una sanzione dello stesso tipo (il carcere) sia ai primi che ai secondi? Si può rispondere con sicurezza di no!
(dott. Gherardo Colombo, ex-Procuratore)

“Non si potrebbe, infine, pensare a pene diverse dal carcere, a condannati che pagano il loro debito verso la società, per esempio, compiendo lavori utili per la società stessa, in una “riparazione costruttiva”? (Carlo Arturo Jemolo, giurista)

di
Salvatore Ferraro




martedì 20 agosto 2013

LA PENA VISIBILE: HANNO SCRITTO, HANNO DETTO...




"Vi suggerirei il libro di Salvatore Ferraro. Condivido alcune cose che dice in modo radicale"
(Gherardo Colombo, ex-magistrato, da un'intervista rilasciata alla rivista Conflitti)

"Un'idea diversa che merita di essere ascoltata"
(Maurizio Tortorella, Panorama)

"La Pena Visibile non è un libro dei sogni, delinea un percorso graduale riformatore per l'eliminazione del carcere"
(Geppi Rippa, Agenzia Radicale)

"E’ un saggio originale, completo, positivo, che fa un bilancio ragionato della realtà del carcere e guarda al percorso della pena in ottica costituzionale"
(Fabio Viglione, Avvocato Penalista)

"Il punto archimedico è qui: rendere visibile la pena, fare in modo che il condannato la sconti a contatto con una porzione di quella società in cui pure dovrebbe reinserirsi. Non sono i sogni compensatori di un giovane giurista che ha avuto guai con la giustizia, sono parte di un dibattito ormai pluridecennale sul superamento del carcere"
(Guido Vitiello, Corriere della Sera)

"La Pena Visibile: Ecco la rivoluzione pellichiana"
(Isabella Pascucci, Leggo)

"La Pena Visibile non si limita ad argomentare la tesi della del fallimento della pena carceraria ma propone razionalmente una nuova teoria dell'esecuzione penale"
(Antonella Barone, educatrice, Le Due Città)

"Concludo: ho cominciato a leggere "La Pena Visibile" di Salvatore Ferraro. Fin dalle prime pagine ho avuto la conferma delle storie che ho raccontato: il carcere è una fucina di recidiva, un microcosmo dove c'è l'identico sistema di valori dell'ambiente in cui era maturata la giustificazione a compiere l'atto criminoso; il carcere crea dipendenza dal carcere e dipendenza dal reato; il detenuto diviene un numero inattivo che 24 ore su 24 si nutre di subcultura carceraria; da colpevole si sente vittima del sistema; il carcere diventa la normalità, il gruppo sociale ideale, una casa famiglia; dopo un po' di mesi si attenua anche il significato della privazione della libertà. Ringrazio Ferraro per il suo libro"
(Francesco Lo Piccolo, Huffington Post)

"Resta da sperare che il Paese che ha dato i natali al filosofo Cesare Beccaria sappia recuperare quello spirito illuminista e riformatore che nel tempo ha prodotto importanti conquiste di civiltà come l'abolizione della pena di morte. Magari anche facendo tesoro delle idee anticonformiste di Salvatore Ferraro"
(Marco Ciello, Lettera Politica dalla scuola di Massimo Cacciari)


" Leggete la Pena Visibile, farete un gran regalo al vostro cervello"
(Vittorio Pezzuto, giornalista e biografo di Enzo Tortora)


 La Pena Visibile (o della fine del carcere), Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore


lunedì 19 agosto 2013

LA PENA VISIBILE: UN'IDEA CHE VUOLE ANDARE OLTRE IL CARCERE

Da La Riviera del 18 Agosto 2013

L'incipit del libro la Pena Visibile è già molto significativo: un dialogo.  Un dialogo vero, tra due persone. Quasi il desiderio (esaudito) dell'autore di rompere subito quel muro di gelo con la società, i cittadini e insinuare il germe della possibilità di un confronto vero su una tematica respingente, sgradevole come il carcere e la punizione. Entri così dentro La Pena Visibile (o della fine del carcere - Rubbettino Editore), con un dialogo, e vieni subito catturato dal vortice della sua combinazione creativa di idee, analisi scientifica, scrittura creativa. Ci entri, prima con la paura, forte, di trovarti di fronte il solito "mattone"  accademico indigeribile su un argomento altrettanto indigeribile come il carcere per poi scoprire che ad accompagnarti in questo viaggio dentro gli inferi delle galere c'è una scrittura leggera e argomenti suggestivi, forti, pieni di esempi presi dall'esperienza che l'autore ha vissuto personalmente o che ha ricevuto dalla testimonianza di altri detenuti ma anche di magistrati, poliziotti penitenziari, educatori, scrittori e vittime del reato. Il libro ti aiuta davvero a capire tutto del carcere, delle ragioni per cui in quasi tre secoli di storia non sia riuscito a produrre risultati utili, dimostra addirittura, e sono pagine efficacissime, le ragioni per cui la stragrande maggioranza di chi entra in un carcere è destinato quasi "compulsivamente" a ricommettere il reato.  Con bozzetti teatrali molto efficaci (Ferraro da anni racconta il carcere a teatro con spettacoli musicali e la Band Presi Per Caso) l'autore supera i momenti di dialogo più difficili, quelli che negli anni hanno creato più emotività, pregiudizio, paura. E poi arriva la proposta, quella Pena Visibile, che sta già facendo molto discutere. Pioneristica, anticonformista, audace, opinabile ma da prendere in considerazione, radicale, rivoluzionaria, riformatrice...ecco alcuni dei giudizi che sono stati formulati intorno all'idea, al progetto riformatore contenuto nel libro La Pena Visibile (o della fine del carcere - Rubbettino Editore). Un'idea che guarda avanti, convinta che l'esperienza del carcere, almeno per i reati meno gravi, abbia fatto il suo tempo e che, come tutti i prodotti culturali e storici, debba prima o poi essere sostituita da altro. Quello di Ferraro è un invito a cominciare a pensare già da ora diversamente, a scarcerarci da dentro, a liberarci da un'idea evidentemente fuorviante: quella che il carcere sia qualcosa di eterno. Perché i cambiamenti, spesso, sono repentini e ci colgono di sorpresa. E come disse il filosofo francese Alain Brossat "noi in un futuro a noi prossimo guarderemo alle carceri come oggi guardiamo ai lager nazisti" ossia con orrore e con la consapevolezza di aver attraversato questa esperienza con un'evidente perdita della ragione. La ragione, ecco: il percorso della Pena Visibile è cosi semplice e razionale, sconfigge così efficacemente i paradossi del carcere, suggerisce in modo drastico che un cambiamento deve finalmente arrivare. Oggi in carcere ci sono 66.000 detenuti di cui solo 9.000 sono quelli pericolosi o condannati per reati gravi. per quei 57.000 detenuti per reati non gravi sarebbe giunta ora di pensare a qualcosa di diverso.
Le idee oltre il carcere, come vedete, ci sono.



mercoledì 14 agosto 2013

PRESENTAZIONE DEL LIBRO "LA PENA VISIBILE" A SIDERNO


Domenica 18 Agosto alle ore 19,00 presso lo splendido KUKUMERLA di SIDERNO (Villa Comunale), Presentazione del libro LA PENA VISIBILE (o della fine del carcere - Rubbettino Editore)

Ne parleranno con l'autore:
Avv. Antonella Sotira
Avv. Giuseppe Belcastro




Non mancate!
 

mercoledì 7 agosto 2013

LA PENA VISIBILE, IL CARCERE FUORI


PUBBLICATO IL 30 LUGLIO 2013
MARCO DEL CIELLO
L’estate della politica italiana è cominciata con le dichiarazioni dei ministri della Giustizia Cancellieri e della Difesa Mauro a favore di un provvedimento di amnistia che risolva finalmente il problema del sovraffollamento carcerario. Negli stessi giorni il Presidente della Repubblica Napolitano riceveva Marco Pannella solo per confermare al leader radicale la sua attenzione per le condizioni di vita dei detenuti. Infine, il 26 giugno il Consiglio dei Ministri ha approvato il cosiddetto Decreto Carceri [1], con l’obiettivo di aumentare il ricorso alle pene alternative.
Il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. (Ansa/Guido Montani)
DECRETO CARCERI NON È SUFFICIENTE. Un testo normativo che si muove certo nella giusta direzione, ma che già a una prima occhiata risulta largamente insufficiente di fronte alle dimensioni del problema: secondo i dati del Ministero della Giustizia, aggiornati al 31 maggio, in Italia ci sono 65.886 detenuti per soli 46.995 posti, con un tasso di affollamento pari al 140%.
IL CONTO ALLA ROVESCIA DELL’EUROPA.E non è solo un dramma umanitario, perché la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ci ha concesso meno di un anno di tempo, fino a maggio 2014, per riportare la situazione alla normalità. Scaduto questo termine, quasi ogni detenuto avrà diritto a un risarcimento nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro per il trattamento subito. Senza contare la vergogna di essere ufficialmente etichettati come l’unico Paese europeo in cui ancora si pratica sistematicamente la tortura.
AMNISTIA O PENE ALTERNATIVE? Sempre più politici e intellettuali indicano l’amnistia come soluzione al problema del sovraffollamento, ma c’è anche chi si sforza di ragionare fuori dagli schemi e di immaginare alternative radicali al carcere stesso. Salvatore Ferraro, ad esempio, ha da poco dato alle stampe un volume (La pena visibile, Rubettino, 2013) in cui raccoglie i frutti di anni di riflessione e al tempo stesso getta i semi per un possibile e auspicabile dibattito di ampio respiro sulla pena e la sua esecuzione.
La pena visibile, il libro di Salvatore Ferraro.
LA PENA VISIBILE, IL LIBRO DI FERRARO.Ferraro, lui stesso ex detenuto e appassionato studioso di diritto, riassume nei primi capitoli del suo libro tutte le critiche che accompagnano l’istituzione carcere fin dalla sua nascita, e in particolare l’incapacità di rieducare i condannati – incapacità testimoniata in Italia da un tasso di recidiva pari al 68%, più di due detenuti su tre tornano cioè a delinquere una volta scontata la pena –, per poi avanzare una proposta articolata e originale.
IL LAVORO AL POSTO DELLA DETENZIONE. La maggior parte dei detenuti, oltre il 90%, non ha commesso reati violenti come l’omicidio e la rapina, questo il suo ragionamento, perciò non rappresentano un pericolo immediato per la società. Perché quindi rinchiuderli in carcere, cioè in un un ambiente dove l’illegalità è la norma e i detenuti non hanno nessun incentivo a cambiare in meglio il proprio comportamento? E se invece questi criminali non violenti fossero inseriti in un contesto lavorativo, dove potrebbero essere tenuti sotto controllo e al tempo stesso interagire in modo positivo con la società circostante? Se, insomma, la loro pena diventasse visibile, come suggerisce il titolo del libro?
RIEDUCAZIONE E CROLLO DELLA RECIDIVA. Ferraro immagina musei e biblioteche dove la riabilitazione del condannato avviene attraverso il lavoro in una realtà completamente diversa dal carcere, e sappiamo per esperienza che tra quanti già oggi usufruiscono di misure alternative alla detenzione il tasso di recidiva crolla dal 68 al 19%. La pena mantiene intatto il suo contenuto afflittivo, ma questo si riduce a quanto previsto espressamente dalla Costituzione e dalle leggi e cioè la privazione della libertà di movimento. Il condannato vive ristretto tra gli spazi di casa sua e del luogo di lavoro, ma non deve subire tutti i piccoli e grandi abusi e le privazioni aggiuntive a cui sono sottoposti i detenuti, dalle perquisizioni immotivate fino alla mancanza di cure mediche adeguate, senza contare la separazione dalla famiglia e dagli amici.

INCENTIVI PER LA BUONA CONDOTTA. Al tempo stesso deve però mettere costantemente a confronto la sua condizione con quella di colleghi e utenti che invece godono di piena libertà. Se questo confronto rende per contrasto più dolorosa la sua privazione, gli offre anche un modello positivo da seguire per riacquistare la piena libertà di movimento. Durante l’esecuzione della pena il suo comportamento viene valutato periodicamente e può essere punito con il ritorno in carcere oppure premiato con la concessione di spazi sempre più ampi dove spostarsi, dal cortile del museo o della biblioteca fino all’intero quartiere. Ha quindi due ottimi motivi per tenere una buona condotta: conservare i vantaggi di cui gode e guadagnarne di nuovi.
CONTRO LA FOLLIA DISORDINATA DELLE CARCERI.L’autore espone il suo ambizioso progetto in meno di duecento pagine, con l’ausilio di citazioni, grafici ed elenchi puntati. Non mancano paragrafi dialogici, sul modello platonico, per meglio illustrare i passaggi più delicati e rispondere alle principali obiezioni. Ulteriori spunti sono disponibili sul blog omonimo del libro . Per forma e contenuti uno sforzo ammirevole di intelligenza, un disegno cartesiano che si contrappone alla follia disordinata delle nostre carceri, luoghi dove per paradosso un’istituzione che non riesce a rispettare le sue proprie leggi – e le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ne sono solo la più autorevole testimonianza – dovrebbe insegnare ai condannati il rispetto della legge. Resta da sperare che il Paese che ha dato i natali al filosofo Cesare Beccaria sappia recuperare quello spirito illuminista e riformatore che nel tempo ha prodotto importanti conquiste di civiltà come l’abolizione della pena di morte. Magari anche facendo tesoro delle idee anticonformiste di Salvatore Ferraro.

martedì 23 luglio 2013

I NUOVI SCENARI ESECUTIVI DELLA PENA. DIALOGO SUL SISTEMA CARCERARIO

Il sistema carcerario ha fallito nella sua missione. Da  strumento di riabilitazione e reinserimento  è diventato luogo di specializzazione per croimini  e di reclutamento per la  mala vita. Insomma, è fallita l’idea  dell’utilizzo del carcere, come  luogo ideale e irrinunciabile dell’esecuzione della pena.


Occorre ripensare complessivamente il modello di reinserimento del detenuto nella società.  Di qui l’esigenza di chiudere questa struttura penitenziaria e dimettere  a punto un nuovo modello di sanzione penale, capace di responsabilizzare l’autore di un reato orientando le sue scelte future verso condotte più consapevoli e positive.

Un modello  fondato sulla  visibilità, ossia la possibilità, da parte della società e della vittima del reato, di partecipare e  rendere visibile, quindi,  il percorso sanzionatorio inflitto al reo.Questi, in sintesi gli elementi emersi dal convegno “I nuovi scenari esecutivi della pena-Dialogo sul sistema carcerario”, tenutosi  a Potenza nella Sala Inguscio della Regione Basilicata.

A fornire l’occasione per  accendere i riflettori sulla realtà, sconosciuta e ignorata dai mass media,   che vive da recluso il condannato, la presentazione del   libro di Salvatore Ferraro  “La pena visibile - (o della fine del carcere) Rubbettino editore. “E’ un saggio originale, completo, positivo, che fa un bilancio ragionato della realtà del carcere e guarda al percorso del sanzionamento della pena in ottica costituzionale - ha sottolineato Fabio Viglione, avvocato penalista, nell’introdurre i lavori - Il libro mi ha emozionato per il modo con cui affronta le varie tematiche!”

E per rendere visibili le condizioni di un carcere “invisibile”, Viglione ha svolto alcune riflessioni ad alta voce: il carcere non garantisce la sicurezza per la società, anzi favorisce la recidiva per chi esce dal carcere; le condizioni di vita del detenuto sono disumane, per l’inerzia, la limitazione degli affetti, il distacco dal contesto lavorativo, la soppressione o la limitazione della libertà: “ A fronte di tutte  queste anomalie – ha aggiunto ancora Fabio Viglione - si registrano costi elevatissimi. Un detenuto costa 180€ al giorno!”.

Ad illustrare i nuovi orizzonti che apre la proposta di una “Pena visibile”, l’autore del volume,Salvatore Ferraro. “Oltre ad essere disumano, il carcere è poco utile.  Il detenuto è condizionato dalle  gerarchie interne  fondate sulla gravità del reato e della pena - ha sottolineato Ferraro -. La forza del carcere non è il suo funzionamento, ma la sua opacità. La società deve cominciare a ragionare della possibilità di altri scenari esecutivi della pena,pensando a percorsi diversi per persone pericolose (il 7%) e persone non pericolose”.

La pena visibile, appunto, mira a  soddisfare l’interesse «reale» della vittima del reato e quello della società, assicurando il risarcimento del danno da parte del reo, la responsabilizzazione di chi ha commesso il reato e la possibilità concreta di reinserimento a chi ha violato le regole.

“Non è un libro dei sogni- ha evidenziato Giuseppe Rippa, direttore di Quaderni Radicali e diAgenzia Radicale -. Delinea un percorso graduale riformatore per l’eliminazione del carcere”.

“I relatori si inseriscono con elementi dirompenti   in un dibattito impantanato, come quello sulla giustizia, che non produce effetti. - ha commentato Vito De Filippo, Presidente della Giunta Regionale -. In Basilicata i Presidi Giudiziari si realizzano con molti disagi e qualche incertezza”. E, poi, un annuncio: “Questa mattina - ha concluso De Filippo - ho firmato tutti i referendum sulla giustizia presentati dal Partito Radicale, al quale sono iscritto da 10 anni”.                             

Giuseppe Orlando (Il Quotidiano della Basilicata)


martedì 16 luglio 2013

PRESENTAZIONE DEL LIBRO "LA PENA VISIBILE" A POTENZA



VENERDI 19 LUGLIO: presentazione de LA PENA VISIBILE (o della fine del carcere) Potenza h. 16,30 
Palazzo della Regione, Sala Inguscio
Nell'ambito del convegno "I nuovi scenari esecutivi della pena"





venerdì 7 giugno 2013

LA PENA VISIBILE: RECENSIONE DA PANORAMA.IT



http://news.panorama.it/politica/in-giustizia/Oltre-il-carcere-un-saggio-di-Salvatore-Ferraro






di Maurizio Tortorella

Il carcere, almeno in Italia, è ormai al fallimento se non già miseramente fallito. Non soltanto per i numeri scandalosi (circa 68 mila detenuti con un sovraffollamento scandaloso), ma anche per la totale, dimostrata incapacità di offrire ai suoi ospiti involontari il minimo percorso rieducativo. Certo, esistono sporadici, clamorosi casi positivi, e viene in mente il carcere di Bollate (Milano) dove i 1.100 reclusi possono lavorare, ma la media delle strutture penitenziarie italiane è purtroppo un vero disastro.
Quali possono essere le soluzioni? C’è chi propone di aumentare il numero delle prigioni, chi sostiene la necessità di introdurre pene alternative. Salvatore Ferraro, giurista ed ex detenuto  ha un’idea diversa, sicuramente opinabile, ma che merita di essere ascoltata. Nel saggio La pena visibile (Rubbettino, 185 pagine, 12 euro), Ferraro ipotizza una teoria innovativa dell’esecuzione penale, legata al modello di un percorso sanzionatorio cui partecipano il reo, la vittima del reato e la società.
«Bisogna mettere da parte il carcere» scrive Ferraro «e individuare un nuovo mediatore con caratteristiche ed elementi strutturali diversi, che assecondino l’esigenza di chiarezza, di un’afflizione redimente, nonché la co-partecipazione pubblica al percorso della pena».
Ferraro ipotizza, insomma, la fine del carcere dove il condannato fisicamente scompare. E sostiene che invece il reo potrebbe essere assegnato a un ambiente specifico per scontarvi pubblicamente la sua pena, per renderla «visibile»: per esempio un ospedale, dove la sua libertà verrebbe compressa in determinati ambiti fisici.
Il comportamento del «detenuto visibile», ovviamente, verrebbe sottoposto a continue valutazioni, dalle quali dipenderebbe la durata della pena.
Com’è ovvio, questo regime penitenziario si applicherebbe, secondo Ferraro, esclusivamente ai condannati non pericolosi, che però rappresentano attualmente una quota elevata, il 94,5%, degli ospiti delle strutture carcerarie. Costoro, alla fine di ogni giornata trascorsa a espiare la «pena visibile» dovrebbero dormire nella propria abitazione, agli arresti domiciliari, oppure in strutture d’accoglienza pubbliche.
La vittima del reato trarrebbe un vantaggio dal lavoro del reo, che grazie al lavoro obbligato avrebbe il denaro per un risarcimento.
Venato forse da qualche intellettualismo e forse un po’ troppo teorico, il saggio di Ferraro ha comunque il merito di analizzare un sistema penitenziario che ha dimostrato di non funzionare (e continua anzi a dimostrare la sua negatività sociale con la clamorosa recidiva di chi vi passa attarverso) e di proporre una soluzione. Una soluzione che avrebbe sicuramente un punto di forza nei ridotti costi economici. Va ricordato, peraltro, che oggi un detenuto costa in media 150 euro al giorno, e che negli ultimi dieci anni il sistema penitenziario nel suo insieme è costato agli italiani 29 miliardi di euro.

UN'IDEA EVOLUTIVA DI "PENA" E SANZIONE

Un filosofo: Fra mezzo secolo si parlerà del carcere come noi oggi parliamo dei
patiboli di una volta, delle catene e dei condannati squartati (Brossat 2003, p. 28)

Una sanzione espiata «fuori dalle mura», dentro la società,
parrebbe cancellare o attenuare di molto il suo ingrediente principale:
la sostanza afflittiva.
Una sanzione senza pena «vera», senza patimento, si palesa
monca. La sofferenza del reo serve a gratificare la vittima, a «purificare» la collettività dal delitto. La pena inflitta ha il compito
primario di ricordare al reo l’errore commesso; e, in fondo, l’inizio
di un percorso rieducativo passa anche attraverso «il segnale
d’inizio» di una porta che si chiude.
Può darsi.
Ma, intanto, che significa sofferenza?
È un’idea oggettiva? Ha una veste formale definitiva? Ce l’ha
mai avuta? Si è manifestata nella società con caratteristiche univoche?
No.
L’idea di pena, di sofferenza, è solo una convinzione
culturale sedimentata. Accettare passivamente un’idea preconfezionata
di sofferenza non ha, pertanto, nessuna giustificazione.
L’idea di sofferenza è stata, infatti, oggetto, in tutta la storia,
di una costante evoluzione. L’ultima, la privazione della libertà
attraverso la prigionia, ha rappresentato, per circa tre secoli, il progetto
più evoluto e idoneo di pena rispetto alle pregresse «idee di
sofferenza» incarnate dal boia, dai ferri roventi, dallo squartamento
dei condannati, dalla gogna: idee, modelli culturali, progressivamente
superati.

Un giudice: Per la collettività turbata dal delitto… ieri questa risposta era la
morte, ieri l’altro i supplizi, oggi la perdita di libertà, domani, forse, una riparazione
costruttiva, nel segno della solidarietà (Fassone in Gozzini 1997, p. 41)

Anche la prigionia in carcere può essere, dunque, un modello
punitivo oggetto di un’ulteriore evoluzione. Può spostarsi da un’idea
pre-confezionata di sterile afflizione, che ha ormai manifestato
tutti i suoi limiti, a «qualcos’altro».
Parlare oggi di pena, di sofferenza, significa anche accettare la
possibile esistenza di una diversa e nuova idea di essa. Bisogna solo
vedere in che termini e in che modi tale pena riesca a esprimere
funzioni, effetti e risultati in grado di soddisfare le aspettative della
vittima del reato e della società.
Si potrebbe, così, dimostrare che la società potrebbe essere in
grado di avviare meccanismi interattivi sufficienti a generare nel
destinatario della sanzione qualcosa che egli percepirà come pena,
come sofferenza.
Si tratta solo di poter concepire un’idea di pena, di patimento
in un senso, diremo, più contemporaneo. Senza rinunciare
a quella che è la sua caratteristica principale ovvero
rappresentare il patimento temporaneo derivante da una condizione
indesiderata:
1. che crea sofferenza;
2. che crea limite;
3. che crea differenza;
4. che crea preferenza per un’altra, migliore, condizione.
Facendo attenzione a che l’aspetto afflittivo non crei nel destinatario
della sanzione «effetti collaterali» indesiderati, ossia quei
già enunciati sbandamenti psicologici che faranno perdere qualsiasi
utilità e qualità alla nuova modalità sanzionatoria.


(da La Pena Visibile, di Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore, pagg. 112-114)