martedì 23 aprile 2013

LE "SOCIALITA" INTORNO A LA PENA VISIBILE: VIVACE, CALOROSO E FECONDO ANCHE IL SECONDO INCONTRO




Il secondo appuntamento della "socialità" intorno alla Pena Visibile l'abbiamo convocato Domenica 21 Aprile ore 11,30 dentro il piccolo e graziosissimo Teatro Manhattan nel cuore del rione Monti a Roma. Ad attenderci... generose tazze di caffè africano, the caldo inglese e un paio di ottime crostate romane (Carla e Marianna le cortesissime artefici di tali prelibatezze).
Il tutto in un ambiente in chiaroscuro davvero molto accogliente.
Un incontro (volutamente) più ristretto rispetto alla spettacolare riunione della prima "socialità"  ma presenze sempre superiori al previsto. Molto bene.  Sono davvero contento.
La presenza in sala di amici coi quali ho già avuto in passato la possibilità di sviluppare dialoghi approfonditi su pena carceraria e sanzione (tra cui ben tre membri dei PRESI PER CASO) mi ha consentito di aprire la "socialità" della domenica parlando dell'ambiente carcerario. Un argomento decisivo per comprendere alcune dinamiche paradossali della pena tradizionale carceraria.  
Il carcere, infatti, la sua filosofia afflittiva fondata esclusivamente sul congelamento della persona e sul suo accorpamento e concentramento assieme ad altre persone è tuttora la causa del rafforzamento dell'"ambiente carcerario deviante". Il concentramento della persona in un sistema di relazioni che tutto sommato tollera, giustifica, arriva a comprendere la commissione del reato non può ovviamente cambiare lo schema di credenze e valori precedentemente acquisito dal reo ma tuttalpiù rafforzarlo. Ho provato a dimostrare come la repressione totale della libertà e la promiscuità carceraria fanno decrescere l'incidenza afflittiva della privazione ma, soprattutto, abbassano la qualità degli interessi personali del reo resettando ogni sua spinta verso la creatività, l'operosità la positività. In pratica la pena tradizionale carceraria è inerzia, degrado, passività, de-responsabilizzazione.
L'amico Gaetano, soffermandosi sul dopo pena, ha evidenziato come la totale assenza di meccanismi di ricollocamento del reo ai blocchi di partenza della società e l'assenza di una politica di inclusione del detenuto sia uno dei fattori più condizionanti la "recidiva" (circa il 70% di chi entra in carcere, una volta fuori, ricommette il reato). Tutto però nasce già dentro con lo svuotamento delle ultime risorse positive del reo e l'accostamento alle regole della sub-cultura che il reo trova/ritrova dentro il carcere.
Durante la "socialità" di questa domenica si è altresì sottolineato che spesso la situazione di stallo in cui la "questione carceraria" evidentemente si trova è figlia di posizioni estreme, radicali, di punti di vista che mai si incontrano in quanto entrambi viziati da fattori esclusivamente emotivi che sfociano, da una parte, in forcaiolismi inamovibili ma anche, dall'altra, in atteggiamenti caritatevoli, alla fine, del tutto inutili o poco costruttivi.
Alcune delle persone presenti, vittime di reati (furto e aggressione) hanno testimoniato l'effettiva e comprensibile difficoltà a perequare un giudizio sereno sulla persona che ha cagionato il danno. Si è però congiuntamente affermato che qualsiasi decisione in merito al percorso sanzionatorio che l'autore di un atto delittuoso (in tal senso, ci siamo soffermati sui reati c.d. non pericolosi, definizione un po' ambigua in quanto la pericolosità o dannosità di un atto è sempre figlia di una convinzione morale)  deve compiere deve essere destituito da qualsivoglia emotività e finalizzato a costruire un qualcosa che risarcisca il danno alla vittima reale, alla società e, contestualmente, consenta al reo di poter praticare delle regole sociali che gli consentano di modificare il proprio schema di credenze e valore. Questo passa necessariamente da una sanzione che non sopprima del tutto la libertà ma la limiti e consenta al reo di mettere in atto comportamenti, fatti, relazioni e risultati che possano approdare a risultati economicamente quantificabili. Ho così presentato, anche se in maniera necessariamente sintetica, lo schema del percorso sanzionatorio chiamato PENA VISIBILE, in particolare l'aspetto afflittivo della limitazione della libertà, della vicinanza con un consorzio più libero, con l'attività utile, fattore spesso distante dalle abitudini culturali di chi delinque. Ho illustrato, su esplicita richiesta, i quattro livelli di controllo (c.d. SINOPTICON che sostituirebbero l'attuale PANOPTICON "anomalo") previsti dal progetto la Pena Visibile e ragionato sul concetto di soppressione totale della libertà. Due ore e mezza sono passate di getto. Davvero colpito dalla nutrita e vivace partecipazione e da come questo tema, in verità indigesto e "allontanante", alla fine riesca a coinvolgere tantissimo e a sollecitare in ognuno domande, ragionamenti, proposte. Queste "socialità" (che mi piacciono davvero tante) sono la dimostrazione che se c'è dialogo vero i punti d'incontro sono tanti, tutti fecondi e fruttuosi. Vi terremo aggiornati....


Per chi fosse interessato a partecipare o, addirittura, organizzare la prossima "socialità" a casa propria o in un altro posto prescelto  può scrivere a lapenavisibile@libero.it



 La Pena Visibile, di Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore

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