sabato 13 aprile 2013

IERI SONO INIZIATE LE "SOCIALITA'": (DAVVERO) BUONA LA PRIMA!



 Ieri, venerdì 12 aprile, si è svolta la prima "socialità" carceraria intorno al mio libro La Pena Visibile.  Un dibattito aperto sulla questione carcere, intorno a un tavolo, con il gentile accompagno di un bicchiere di vino (io: due), senza la consueta divisione tra relatore e uditorio:  insomma, il tentativo di una chiacchierata informale, uno scambio di idee, di punti di vista, spesso opposti, sull'idea di sanzione giusta o sull'effettiva utilità del carcere oggi (per alcune tipologie di reati).
A organizzare la prima socialità è stata l'avvocato Antonella Sotira, mia amica di lunga data, per l'associazione Iusgustandum.  Il locale scelto, una graziosa Enoteca vicino al "cuore giudiziario" della capitale, ossia Piazzale Clodio (brividi). Pensavo di dover interloquire con una quindicina di persone. Alla fine, la prima "socialità" è stata una stanza stipata da oltre quaranta persone (metafora del sovraffollamento carcerario?) calorose, partecipative, attente e interessate a offrire il proprio contributo allo scambio di idee.
Un successone, dunque. Brava Antonella.

Come mi aspettavo l'idea di pena,  di punizione, di sanzione, di risarcimento del danno derivante da reato cambiano di bocca in bocca, di sensibilità in sensibilità. Di storia in storia. Per esempio, alla mia prima domanda "se voi foste vittima di un reato, che misura vorreste per il reo?" il ventaglio di risposte e proposte è stato il più ampio possibile: dall'umiliazione pubblica del reo, alla semplice e pura reclusione fino a passare a chi ha auspicato per il proprio "aguzzino" un percorso riabilitativo e risarcitorio fondato sul lavoro, soprattutto quello socialmente utile.  Un punto fermo che reputo molto importante è stata la comune sensazione di "spiazzamento" per il fatto che il percorso sanzionatorio del reo e quello risocializzante venga completamente sottratto alla vista della società e della vittima del reato. Come affermo nel mio libro, la mancata visione di questo percorso è decisiva. Immaginare la pena è per società e vittima del reato un mero esercizio di aspettativa di cui mai si saprà l'effettiva soddisfazione. Mentre il percorso del reo va in un'altra direzione.
Ho raccontato, in tal senso, il percorso sanzionatorio inciampi in elementi strutturali della pena che finiscono per vittimizzare il reo anziché consapevolizzarlo del disvalore dell'atto delittuoso commesso. La denudazione del reo (spesso accompagnata da ispezione anale) al momento dell'ingresso, lo sfibramento nervoso creato nel detenuto dall'interminabile sequela di percosse ritmiche su grate, blindati,  l'ingiusta e illegittima estensione dei contenuti afflittivi anche ai familiari dei detenuti (con le conseguenti, pericolose, ricadute sociali) hanno suscitato nei presenti una comune reazione di disagio. Perché queste cose non si vedono e, spesso, neanche si sanno.
Per cui si è anche riflettuto sul rischio di un modello di sanzione che troppo spesso anziché modificare in positivo il sistema di credenze e valori del reo ne acuisce il senso di rivalsa, diviene spesso sterile tortura, non crea utilità per la società e per la vittima del reato.
Presenti alcuni professionisti del settore, è stato sottolineato come sarebbe opportuno fare un distinguo tra rei in qualche modo potenzialmente recuperabili e quelli che non lo sono; mentre altra parte affermava che coloro che entrano in carcere, in virtù della sussistenza di una doppia condanna, sono da considerare sempre e comunque pericolosi. Ho sottolineato, al contrario, come dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, confermati da illustri magistrati, attestino la percentuale dei detenuti effettivamente pericolosi su un 5,4%. I non pericolosi sono la stragrande maggioranza. Qualcuno ha ricordato il costo giornaliero di un detenuto - sui 150 euro - e io ho riportato i dati su costi annuali del sistema carcerario: due miliardi e mezzo di euro all'anno. Troppo per un modello punitivo che produce tanta recidiva.
Mi sono state rivolte alcune domande sulla vita carceraria, sulla mia esperienza personale. Ho raccontato qualche storia, qualche episodio significativo. Uno dei commensali ha chiesto della sessualità in carcere: un argomento delicato. La medicina penitenziaria ha dimostrato come l'inaridimento della sfera affettiva, emotiva e sessuale generi danni gravi e perversioni pericolose. In carcere la sessualità è depressa e le pratiche, degradanti e mortificanti, dell'autoerotismo sono all'ordine del giorno.
Un'ora e mezza di socialità è scivolata via velocemente (proprio come accadeva in quell'ora e mezza di convivialità in carcere).  Purtroppo mi difetta il dono della sintesi e i tanti argomenti che volevo ancora proporre (legati alle dinamiche dell'ambiente carcerario, della promiscuità, della recidiva e la stessa presentazione del mio progetto di sanzione alternativa chiamato, appunto, Pena Visibile) non sono stati nemmeno toccati. Tanti, tantissimi gli argomenti rimasti in sospeso e di cui si è auspicata l'immediata trattazione. Un segnale importante. Il carcere è sempre meno distante.


Per chi fosse interessato a partecipare, la prossima "socialità" si terrà Domenica 21 Aprile alle ore 11,30 presso il Teatro Manhattan, via del Boschetto 58 (zona Monti). Potete comunicare la vostra presenza scrivendo a lapenavisibile@libero.it


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