domenica 10 febbraio 2013

SCRIVANO



Correva l'anno 1998 e stavo ancora "dentro". Per il fatto di scrivere meno peggio in italiano e conoscere qualcosina in più di diritto, fui insignito "sul campo" del ruolo di "scrivano di reparto": il G11 di Rebibbia. La mia cella, così, veniva ogni giorno riempita di atti, carte, faldoni e richieste. Ossia, invece di giocare a carte, osservare il soffitto o guardare la tv, mi occupavo di scrivere istanze ai giudici, richieste all'amministrazione penitenziaria e revisioni...di lettere d'amore. In quell'anno, grazie a quegli atti scritti da me uscirono almeno sette persone (rivendicai sempre il merito di quelle scarcerazioni: in verità, quattro furono dovute a semplici automatismi giuridici ritardati dal fatto che gli interessati non erano assistititi da avvocati di fiducia. Tre, invece, dovettero il lieto esito grazie a carambole giudiziarie o alchimie processuali di cui non esiste ancora spiegazione logica).

"Chicco", no. "Chicco" mi disse che voleva provarci da solo. Voleva scrivere da sé la sua istanza.

Era tornato dentro per una revoca di un beneficio dovuto a una contestata evasione dei domiciliari. Mi chiese solo se potevo correggergli la versione finale. Solo questo. Dissi di sì. "Chicco" restò in cella a scrivere, per cinque sudatissime ore. Sentivo il suo bofonchiare, il rumore della carta che si accartocciava, le linee sottili di un ragionamento giuridico espresso ad alta voce. Poi: fumata bianca. Il ricorso era pronto. "Chicco" passò il foglio a Ferruccio , lo "scopino" di reparto che lo consegnò a me per la correzione finale. Buttai un'occhiata all'atto. C'era solo una riga. Malferma. Con su scritto: "LA CORPA NON E' MIA" 

(di S.Ferraro, da "Galera, le ultime incisioni")

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