lunedì 27 gennaio 2014

LA PENA CARCERARIA E "IL SISTEMA VESSATORIO PARALLELO"

Il reo in carcere: da aguzzino a vittima

Un magistrato: Questo carcere… è innocentista… produce deresponsabilizzazione
e rimozione del senso di colpa (Maisto 2011, p. 177)

Un detenuto: La ragione per cui le persone sono state portate in galera diventa
irrilevante esattamente due minuti dopo il loro ingresso… lì si cancella quasi
la ragione che li ha portati lì (Sofri 2011, p. 250)

Il reo entra in carcere per rispondere personalmente di un
determinato reato commesso (o giudicato come tale).
Egli è, in quel preciso istante, consapevole di dover pagare
qualcosa alla società per quel reato, attraverso una pena che
prevede questo unico contenuto afflittivo: la perdita della libertà
Al momento del suo ingresso in carcere, il reo è, pertanto,
consapevole che dovrà scontare la propria pena trascorrendo un
periodo di tempo, breve o lungo, rinchiuso in una cella. E basta.
E, in definitiva, suo malgrado, lo accetta.
Quello che il reo detenuto in quel momento, invece, non sa,
non prevede o non considera è che il suo ingresso in carcere metterà
in gioco altre e più complesse dinamiche che andranno ben oltre
l’equazione: reato commesso/perdita della libertà. Tali dinamiche
sfuggiranno non solo alla sua comprensione ma addirittura alla
previsione dello stesso diritto e alla volontà dell’amministrazione
penitenziaria.
Come vedremo, saranno proprio tali variabili a dare luogo a
quell’inesorabile percorso di offuscamento di questa equazione
che farà tramutare gradualmente la percezione di sé del reo e della
propria responsabilità.

Il sistema vessatorio parallelo
Una volta varcata la soglia del carcere, il detenuto diviene proprietà
esclusiva dell’istituzione carceraria.
Suo adesso il compito di gestire questa proprietà, la presa di
possesso sulla libertà del reo e, più concretamente, sul suo corpo.
Ma sorvegliare e punire un reo è un’attività difficile, dispendiosa,
complessa.
Il carcere è controllo coordinato, è limitazione organizzata.
È, soprattutto, una grande macchina burocratica: gestire la
perdita della libertà del reo presuppone un continuo e quotidiano
operato da parte di poliziotti penitenziari, personale educativo,
protocolli, ecc.
Il tutto con strumenti e mezzi, in parte, flebilmente regolamentati
e, in parte, a causa della complessità strutturale e sociale del
carcere, demandati necessariamente alla discrezionalità dell’amministrazione
penitenziaria.
Questi strumenti e questi metodi di gestione della pena sono
fondati su una profonda e strategica ragion d’essere, in molti casi
anche di immediata comprensione.
Ma, vedremo, come il loro reiterato e indiscriminato utilizzo,
la loro ritualizzazione, durante l’esecuzione, daranno luogo a un
fenomeno particolare: Essi perderanno via via la loro natura eccezionale,
parziale e preventiva per divenire aspetti istituzionalizzati
e interni della sanzione: insomma, suoi fattori costitutivi.
Essi gradualmente creeranno un vero e proprio «sistema vessatorio
parallelo» alla pena principale, un complesso di atti e situazioni che
si insinuerà nel percorso carcerario del reo, sostituendosi alla sanzione
principale e divenendo il contenuto afflittivo più evidente e immediato
di tutto il percorso sanzionatorio. La privazione della libertà diverrà,
via via, un contenuto più affievolito, secondario. Un meccanismo non
previsto (se non addirittura vietato) dal diritto e, soprattutto, non compreso
e, quindi, gradualmente percepito dal detenuto come ingiusto.
Tale meccanismo afflittivo suppletivo e «alternativo» della pena
è foriero di conseguenze, particolarmente gravi e controproducenti
per il reo detenuto, sul piano della percezione della sanzione e del
senso di responsabilità.
Un direttore del carcere: L’atteggiamento vessatorio rischia di diventare la modalità
di comunicazione e di gestione del carcere (Castellano-Stasio 2009, p. 75)
Il sistema vessatorio parallelo attua un processo di conversione
della misura da mezzo di controllo e gestione in pena aggiuntiva e
ingiustificata che è destinata a modificare il reale contenuto afflittivo
della pena, svuotandolo altresì di giuridicità.
Buona parte dell’attività intramuraria si tradurrà, così, in una
quotidiana, spesso inconsapevole, sequela di vessazioni «normativamente
non pattuite» e incontrollate: afflizioni prive di relazione
sostanziale con quel rapporto di causa/effetto (delitto/perdita
della libertà) e quindi recepite dal detenuto come ingiuste.
Tali vessazioni rappresenteranno l’inizio di quel mutamento
di percezione del reo «di se stesso e della sua responsabilità» che
lo investirà di lì a qualche mese.

Un medico penitenziario: La pena rilevante è la privazione della libertà…
qualunque patimento ulteriore non ha senso, scopo e giustificazione (Ceraudo
1999, p. 88)

Ma procediamo con ordine…
Ecco un’elencazione di alcuni strumenti di controllo o di gestione
della detenzione regolarmente utilizzati in carcere:
1. denudazione e ispezione anale del reo al momento del suo
ingresso in carcere;
2. alterazione sensoriale dovuta a battitura di grate e blindati;
3. perquisizione «locale»;
4. ingiustificata estensione del contenuto afflittivo della pena anche
ai familiari del detenuto;

5. cancellazione del diritto e di un’idea di legalità «vincente».

da La Pena Visibile (o della fine del carcere), di Salvatore Ferraro, pagg.30-32

continua su..


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