Il reo in carcere: da aguzzino a
vittima
Un magistrato: Questo carcere… è innocentista…
produce deresponsabilizzazione
e rimozione del senso di colpa (Maisto 2011, p. 177)
Un detenuto: La ragione per cui le persone
sono state portate in galera diventa
irrilevante esattamente due
minuti dopo il loro ingresso… lì si cancella quasi
la ragione che li ha portati lì (Sofri 2011, p. 250)
Il reo entra in carcere per rispondere
personalmente di un
determinato reato commesso (o giudicato
come tale).
Egli è, in quel preciso istante,
consapevole di dover pagare
qualcosa alla società per quel reato,
attraverso una pena che
prevede questo
unico contenuto afflittivo: la perdita della libertà
Al momento del suo ingresso in carcere,
il reo è, pertanto,
consapevole che dovrà scontare la
propria pena trascorrendo un
periodo di tempo, breve o lungo,
rinchiuso in una cella. E basta.
E, in definitiva, suo malgrado, lo
accetta.
Quello che il reo detenuto in quel
momento, invece, non sa,
non prevede o non considera è che il
suo ingresso in carcere metterà
in gioco altre e più complesse
dinamiche che andranno ben oltre
l’equazione: reato commesso/perdita della
libertà. Tali dinamiche
sfuggiranno non solo alla sua
comprensione ma addirittura alla
previsione dello stesso diritto e alla
volontà dell’amministrazione
penitenziaria.
Come vedremo, saranno proprio tali
variabili a dare luogo a
quell’inesorabile percorso di
offuscamento di questa equazione
che farà tramutare gradualmente la
percezione di sé del reo e della
propria
responsabilità.
Il sistema vessatorio parallelo
Una volta varcata la soglia del
carcere, il detenuto diviene proprietà
esclusiva dell’istituzione carceraria.
Suo adesso il compito di gestire questa
proprietà, la presa di
possesso sulla libertà del reo e, più
concretamente, sul suo corpo.
Ma sorvegliare e punire un reo è un’attività difficile,
dispendiosa,
complessa.
Il carcere è controllo coordinato, è
limitazione organizzata.
È, soprattutto, una grande macchina
burocratica: gestire la
perdita della libertà del reo
presuppone un continuo e quotidiano
operato da parte di poliziotti
penitenziari, personale educativo,
protocolli, ecc.
Il tutto con strumenti e mezzi, in
parte, flebilmente regolamentati
e, in parte, a causa della complessità
strutturale e sociale del
carcere, demandati necessariamente alla
discrezionalità dell’amministrazione
penitenziaria.
Questi strumenti e questi metodi di
gestione della pena sono
fondati su una profonda e strategica
ragion d’essere, in molti casi
anche di immediata comprensione.
Ma, vedremo, come il loro reiterato e
indiscriminato utilizzo,
la loro ritualizzazione, durante l’esecuzione, daranno luogo a
un
fenomeno particolare: Essi perderanno
via via la loro natura eccezionale,
parziale e preventiva per divenire
aspetti istituzionalizzati
e interni della sanzione: insomma, suoi
fattori
costitutivi.
Essi gradualmente creeranno un vero e
proprio «sistema vessatorio
parallelo» alla pena principale, un
complesso di atti e situazioni che
si insinuerà nel percorso carcerario
del reo, sostituendosi alla sanzione
principale e divenendo il contenuto
afflittivo più evidente e immediato
di tutto il percorso sanzionatorio. La
privazione della libertà diverrà,
via via, un contenuto più affievolito,
secondario. Un meccanismo non
previsto (se non addirittura vietato)
dal diritto e, soprattutto, non compreso
e, quindi, gradualmente percepito dal detenuto
come ingiusto.
Tale meccanismo afflittivo suppletivo e
«alternativo» della pena
è foriero di conseguenze,
particolarmente gravi e controproducenti
per il reo detenuto, sul piano della
percezione della sanzione e del
senso di responsabilità.
Un direttore del carcere: L’atteggiamento vessatorio
rischia di diventare la modalità
di comunicazione e di gestione
del carcere (Castellano-Stasio
2009, p. 75)
Il sistema vessatorio parallelo attua
un processo di conversione
della misura da mezzo di controllo e gestione in
pena aggiuntiva e
ingiustificata che è destinata a
modificare il reale contenuto afflittivo
della pena, svuotandolo altresì di
giuridicità.
Buona parte dell’attività intramuraria
si tradurrà, così, in una
quotidiana, spesso inconsapevole,
sequela di vessazioni «normativamente
non pattuite» e incontrollate:
afflizioni prive di relazione
sostanziale con quel rapporto di causa/effetto (delitto/perdita
della libertà) e
quindi recepite dal detenuto come ingiuste.
Tali vessazioni rappresenteranno l’inizio
di quel mutamento
di percezione del reo «di se stesso e
della sua responsabilità» che
lo investirà di lì a qualche mese.
Un medico penitenziario: La pena rilevante è la
privazione della libertà…
qualunque patimento ulteriore
non ha senso, scopo e giustificazione (Ceraudo
1999, p. 88)
Ma procediamo con ordine…
Ecco un’elencazione di alcuni strumenti
di controllo o di gestione
della detenzione regolarmente
utilizzati in carcere:
1. denudazione e ispezione anale del
reo al momento del suo
ingresso in carcere;
2. alterazione sensoriale dovuta a
battitura di grate e blindati;
3. perquisizione «locale»;
4. ingiustificata estensione del
contenuto afflittivo della pena anche
ai familiari del detenuto;
5. cancellazione
del diritto e di un’idea di legalità «vincente».
da La Pena Visibile (o della fine del carcere), di Salvatore Ferraro, pagg.30-32
continua su..
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