venerdì 5 aprile 2013

AUTOLESIONISMO IN CARCERE: I "TAGLI" DI CUI NESSUNO PARLA




 I numeri sono impressionanti: solo nel 2012 si sono consumati ben 7317 atti di autolesionismo, 1.023 ferimenti, 1308 i suicidi tentati, 58 quelli riusciti. E non solo fra i detenuti. Almeno cinque poliziotti penitenziari ogni anno sfuggono dalla loro reclusione senza fine pena suicidandosi. Questo bollettino di guerra pubblicato ieri dal Quotidiano della Calabria è l'ennesimo, puntuale, conto presentato dal Carcere allo Stato Italiano. Un conto che ci si rifiuta ancora di prendere nella dovuta considerazione ma che anche eludendolo, o forse proprio per questa ragione, finisce lo stesso per riverberarsi ogni anno con la stessa disumana casistica.
Ma perché succede tutto questo?
Chi ha varcato qualche volta la soglia di un carcere (magari da volontario, da avvocato, da parlamentare, o semplicemente da detenuto)  non ha potuto fare a meno di intravvedere nelle braccia di tanti detenuti, sui loro stomaci, sotto il collo, quei solchi cutanei profondi rinsecchiti dal tempo, vecchio o più recente ricordo di un atto autolesionista.
Un'immagine cruda, pietosa, un'istantanea congelata di regressione umana. Ebbene, quei tagli non sono semplici tagli ma rappresentano altro: un vero e propri linguaggio. Il linguaggio della detenzione. L'unico, di fatto,  concesso a un detenuto per comunicare in carcere le proprie ragioni, i propri bisogni. "Sgarrarsi" un braccio, lacerarsi lo stomaco o il collo "con la capocchia" di una scatola di tonno" rappresenta L'unico modo per attirare e ricevere la dovuta attenzione dall'amministrazione penitenziaria.
Non è certo "colpa" dei poliziotti penitenziari i quali, al contrario, in molte occasioni si sono adoperati per scongiurare tali pratiche degradanti e in più di un'occasione hanno salvato la vita a detenuti distogliendoli da propositi suicidi. Però è un fatto consolidato che l'attuale modo di gestire la sanzione penale, col carcere, col freddo isolamento, l'inerzia, la passività, il costante abbandono in ambienti degradati, promiscui e sovraffollati, il "taglio" netto  del reo col resto della società non può che condurre a questa inevitabile conseguenza: la sua regressione, la sua degradazione.



                                                          UNA PROPOSTA


 La Pena Visibile (o della fine del carcere), Salvatore  Ferraro, Rubbettino Editore

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