giovedì 28 marzo 2013

LA PASQUA DI PAPA FRANCESCO E LE CARCERI


“Ero carcerato e mi avete visitato”. Saranno probabilmente queste le parole che papa Francesco avrà avuto in mente quando ha scelto di dare inizio al triduo Pasquale nel carcere minorile di Casal del Marmo. Al di là però del precetto evangelico di visitare i carcerati, il gesto del Pontefice assume un significato ulteriore di denuncia della situazione inumana in cui versano molti carcerate e della susseguente e sostanziale inutilità del carcere come strumento di correzione e di educazione di chi ha sbagliato e deve essere reinserito nel corpo della società.

Abbiamo chiesto un commento a Salvatore Ferraro, autore per Rubbettino del recente volume “La pena visibile”:

SALVATORE FERRARO: La pasqua di resurrezione di Papa Francesco ha inizio da un carcere. Ecco il segnale del cambiamento in corso. Vicinanza, solidarietà, per la prima volta, il sacro lavaggio dei piedi dispensato anche a una donna. Ma oggi in carcere, in tutte le carceri italiane accanto a questo bellissimo messaggio d'amore tutto cristiano, aleggerà il peso di una situazione insostenibile.
La fine di questo modello antiquato e improduttivo di sanzione è d’altronde, ormai, alle porte. La crisi finanziaria internazionale sta presentando i suoi conti. L'impatto è duro, durissimo. Dappertutto.
Colpirà anche le prigioni. Il mondo delle galere non avrà condoni.
Oggi punire con  il carcere costa ogni anno al nostro Paese due miliardi e mezzo di euro (nel 2007 si toccò la cifra record di tre miliardi e novantacinque milioni). In circa dieci anni si è arrivati a spendere ben 29 miliardi di euro. Sarà ancora possibile affrontare questi costi?
E soprattutto...per quale ragione continuare a sostenerli?
Il dato  pacifico sul carcere è questo: l'assenza di risultati positivi.  Questa vetusta forma di sanzione, in termini di riduzione della criminalità, ricollocazione del reo in un ambito lavorativo e recupero della regola violata,  è approdata a risultati pari allo zero. Al contrario, il mantenimento del costoso sistema punitivo tradizionale vede il tasso di recidiva sempre altissimo: i recidivi sono il 68% della popolazione carceraria.

"Più di due terzi delle persone che escono dal carcere commettono nuovi reati"
 Gherardo Colombo  - Magistrato

Questo significa non solo che il carcere, in tutti questi anni, non è stato in grado di orientare, modellare, intervenire sulle scelte future del detenuto verso regole e valori condivisi ma, più paradossalmente, è stato esso stesso un forte contribuente nel consolidare e rafforzare nel detenuto propositi devianti.
D'altronde, una filosofia afflittiva fondata sulla reclusione, sull'inerzia, sull'isolamento, la separazione netta dalla società, la promiscuità con altri rei  non poteva e non può insegnare a risocializzare. Né può creare nel reo scenari diversi, percorsi diversi, interessi nuovi. Al massimo, può vittimizzare, deresponsabilizzare e rendere, in virtù della promiscuità, più solidi e suggestivi gli input dell'ambiente deviante che il reo ritrova in carcere.

La resa è, dunque, iniziata. La stoccata non è solo di tipo economico.
Il quadro è ulteriormente peggiorato dalla scelta, quasi obbligata, delle professionalità carcerarie che, evidentemente avvilite, demotivate, fiaccate da un andazzo che procura solo frustrazione,  optano per "l'immediato ritiro delle truppe dal campo di battaglia".

"Questi professionisti del «trattamento», poco a poco, si sono rifugiati negli uffici, abbandonando il campo di battaglia…"
Lucia Castellano - direttore carcere


 Poliziotti ed educatori, psicologi e personale scelgono di auto-recludersi negli uffici, nei ministeri, scelgono la via burocratica perché evidentemente saturi di un sistema che non ha più ragione di esistere (almeno per quel 94,6% di detenuti ritenuti non pericolosi). E oggi di questi due miliardi e mezzo di spese annuali quasi l'80% (il 79,2%) è destinato al mantenimento della burocrazia penitenziaria: ossia a carte bollate, uffici, amministrativi, dirigenti ecc. , il 13% alla cosiddetta "rieducazione" del detenuto,  4,4% all'ordinaria manutenzione delle carceri, il 3,4% al mantenimento di alcuni servizi (sì, insomma, le bollette di luce e acqua).

Per la rieducazione del reo vengono in media spesi 0,08 centesimi al giorno!!!! o meglio 2,6 euro al mese!!! e provare a "creare" un nuovo posto in carcere per un detenuto costerebbe alla collettività 27.638,30 euro a cui andrebbero però aggiunte le spese ulteriori per l'aumento della sorveglianza, il personale ecc.
E allora, che fare?
Mantenere questo stato di cose è impossibile. E' ora di pensare seriamente a qualcos'altro.
Basta carcere. La pena sia, dunque, visibile. Utile, produttiva ed economicamente più vantaggiosa. Una sanzione espiata fuori le mura (per i detenuti non pericolosi, ossia il 94,6% della popolazione carceraria) consentirebbe un notevole risparmio economico: almeno il 50%.
Riflettiamoci...ma non troppo a lungo!





Il libro
La pena visibile è una teoria dell’esecuzione penale che mira a dimostrare come l’esperienza dell’utilizzo del carcere, quale luogo ideale e irrinunciabile dell’esecuzione della sanzione penale, deve ritenersi finita: causa fallimento. Questa teoria non si limita a offrire fatti e argomentazioni atti unicamente a descrivere e provare le ragioni di questo fallimento. È una teoria che aspira a molto di più. Essa, infatti, oltre a offrire ragioni nuove e più profonde nello spiegare dove e in che modo il carcere abbia rivelato i suoi lati deboli, paradossali e contraddittori, mira a modellare un nuovo scenario esecutivo della pena: alternativo, utile e produttivo. Questo modello è fondato su una specifica qualità: la visibilità, ossia la possibilità, da parte della società e della vittima del reato, di partecipare il percorso sanzionatorio inflitto al reo; e muove da due presupposti, meglio, due urgenze fondamentali: ricreare intorno al reo un nuovo ambiente «condizionante» e dissolvere «l’ambiente carcerario».

martedì 26 marzo 2013

IL REO COL MARCHIO DI COLPEVOLE



E poi quella parola: colpevole. Così definitiva, immodificabile.
Il reo lo sa bene. Se si è colpevoli, lo si è per sempre.
Tanto vale… allora…
Il marchio di colpevole, in tutti questi anni, ha determinato
costi sociali pazzeschi. Ha influito enormemente sull’atteggiamento
del reo rispetto al suo futuro, alle sue possibili scelte future. Ma,
soprattutto, sull’atteggiamento della società rispetto alla persona
riconosciuta colpevole di un reato.
Un marchio è una macchia indelebile.
Le parole hanno una loro forza performativa. Costituiscono
una situazione
Colpevole. Sarebbe opportuno sostituire questa parola con
un’altra: magari responsabile. La parola responsabile offre qualche
possibilità in più. È flessibile, temporanea, non cementizza uno
status, non è un marchio. Spinge, incentiva a un cambiamento.
La parola colpevole, no, sigilla una condizione di irreversibilità
e, in tal senso, inibisce qualsiasi spinta al cambiamento positivo: fa
percepire come inevitabili scelte future votate alla devianza.
Tanto vale… allora…
Perché lo status di colpevole è per sempre.
Responsabile, invece, è una persona consapevole, che può assumere
su di sé il costo di una scelta e provvedere per il futuro;
responsabilità è una parola flessibile che ammette la possibilità di
essere modificata. Il responsabile è uno che può… il colpevole, no.

(da LA PENA VISIBILE, Salvatore Ferraro, pagg. 87-88,  Rubbettino Editore)





La pena visibile è un progetto organico e articolato che mira a modellare un nuovo scenario esecutivo della pena: una sanzione finalmente allontanata dall’opacità delle mura carcerarie e trasportata fuori, nella società. La realizzazione di un’interazione in cui vengono coinvolti i vecchi protagonisti della pena ma stavolta con funzioni più “aperte”, visibili, attive e con la presenza di un nuovo soggetto: la società, i suoi spazi, le sue relazioni.


Una pena che si esprime “dentro” un consorzio sociale in grado di produrre meccanismi afflittivi più aggiornati, garantendo, al contempo, un sistema di controllo adeguato. Un modello di sanzione “visibile” che, grazie alla co-partecipazione sociale, responsabilizzi il reo e gli fornisca stimoli positivi che possano finalmente distoglierlo da propositi devianti e indirizzarlo consapevolmente verso la pratica costante e continuata di regole sociali condivise.


La Pena Visibile, Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore





















mercoledì 20 marzo 2013

LA PENA VISIBILE: UNA RECENSIONE DA "LE DUE CITTA'"

http://www.leduecitta.it/index.php/459-ilblog/news/2995-libri



La pena visibile o della fine del carcere
di Salvatore Ferraro – Rubbettino pp182
Perché la pretesa rieducativa del carcere ha finora fallito, nonostante le valide professionalità (educatori,psicologi, polizia penitenziaria ed altri operatori) che  vi lavorano?
Questa una delle tante domande che si pone Salvatore Ferraro, studioso di diritto ed ex detenuto (nonché animatore della rock -band dei Presi per caso).
Perché l'area educazionale non è in grado di sostituirsi all'ambiente carcerario,di prevalere sulle dinamiche più durature e consolidate dei reparti. E questa una delle risposte con le quali l'autore non si limita ad argomentare la tesi del fallimento della pena carceraria ma che utilizza razionalmente per proporre una nuova teoria dell'esecuzione penale : la pena visibile.
Una definizione che rievoca teorie illuministe ma si spinge a elaborare un modello di sanzione penale da eseguire in un nuovo ambiente sanzionatorio, limitato ma autenticamente sociale  dove non si creino relazioni artificiose, relazioni promiscue con altri condannati  e meccanismi simulatori con gli operatori.
Un saggio con riferimenti teorici autorevoli ma scritto e strutturato in maniera chiara (con tanto di schema sulla  "dinamica della pena visibile") che affronta anche temi ardui  come il risarcimento delle vittime del reato  e il  nuovo ruolo della polizia penitenziaria in un ambiente sanzionatorio diverso da quello carcerario.

lunedì 18 marzo 2013

IL CARCERE VITTIMIZZA IL REO, NON LO CONSAPEVOLIZZA...


"Questo carcere … è innocentista … produce deresponsabilizzazione
e rimozione del senso di colpa"

Francesco Maisto  - Magistrato

"La ragione per cui le persone sono state portate in galera diventa
irrilevante esattamente due minuti dopo il loro ingresso … lì si cancella quasi
la ragione che li ha portati lì"

Adriano Sofri - Ex-detenuto

"La pena rilevante è la privazione della libertà … qualunque patimento ulteriore non ha senso, scopo e giustificazione"

Francesco Ceraudo - Medico Penitenziario


"Il carcere, quindi, non solo non rispetta la dignità di chi lo subisce, ma non rispetta dignità e diritti di terzi estranei alla trasgressione"

Gherardo Colombo - Magistrato


"Quando le persone detenute si sentono per tutto nelle mani
degli altri e in balìa dell’istituzione, si sentono vittime, non colpevoli: in carcere
ricreano la propria innocenza"

Francesco Maisto  - Magistrato

                                           UNA PROPOSTA





La pena visibile è un progetto organico e articolato che mira a modellare un nuovo scenario esecutivo della pena: una sanzione finalmente allontanata dall’opacità delle mura carcerarie e trasportata fuori, nella società. La realizzazione di un’interazione in cui vengono coinvolti i vecchi protagonisti della pena ma stavolta con funzioni più “aperte”, visibili, attive e con la presenza di un nuovo soggetto: la società, i suoi spazi, le sue relazioni.

Una pena che si esprime “dentro” un consorzio sociale in grado di produrre meccanismi afflittivi più aggiornati, garantendo, al contempo, un sistema di controllo adeguato. Un modello di sanzione “visibile” che, grazie alla co-partecipazione sociale, responsabilizzi il reo e gli fornisca stimoli positivi che possano finalmente distoglierlo da propositi devianti e indirizzarlo consapevolmente verso la pratica costante e continuata di regole sociali condivise.

La Pena Visibile, Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore

SI CHIAMAVA C3. ERA LA MIA CELLA.




Si chiamava C3. Era la mia cella.
Stava accanto l'entrata del reparto. Una posizione importante.
Ero il primo ad ascoltare  i passi che arrivavano dalla "rotonda". I passi  della posta,  del "gufo" (l'ufficiale giudiziario), quelli  degli agenti, degli educatori (mai ascoltati) ma soprattutto...i passi dei "nuovi arrivati": sempre uguali.
Avevo una grossa responsabilità: segnalare al reparto le loro condizioni, di cosa avessero bisogno, soprattutto per quanto riguarda il cibo.
"Ha le pezze al culo" era la frase di rito oppure bastavano due colpi sulla parete di Gianluca (il vicino di cella) e il reparto si metteva all'opera: pane,  pasta, pantaloni, una piccola colletta di sigarette (l'alimento più importante).
Il "lavorante" di reparto provvedeva al trasferimento di quei beni nella cella del nuovo arrivato.
Era la regola carceraria: I blocchi di partenza di una giornata in prigione devono essere uguali per tutti. "Poi so' cazzi tua".

Si chiamava C3. Era la mia cella.
A volte lo stare vicino l'ingresso non era un privilegio. I suoni del carcere ti arrivavano addosso con la loro brutalità ancora più amplificata: urla, blindati che sbattono, giri di chiavi ossessivi, lamenti e conati di vomito. Quello che mi impressionava era la disperata ricerca di zucchero. I tossici, in carcere, cercano sempre zucchero. Ne hanno bisogno, più della stessa droga. Il metadone gli sballa il quadro glicemico e li vedi come mosche impazzite aggirarsi per i reparti alla ricerca di una merendina. Come bambini viziati e disperati.

Si chiamava C3. Era la mia cella.
Era grande due metri per tre. Ma non te ne accorgi. Ti aiutano gli occhi. Che si abituano: sempre. Lo sguardo ti abbandona lentamente. Il quadro visivo si spegne. Le distanze s'accorciano. Ed essere ingabbiato dentro una scatola è una sensazione normale...

Si chiamava C3. Era la mia cella.
Poi sono stato scarcerato.
Mi hanno salvato i libri, la scrittura e le parole. Spesso quelle degli altri.
Mi ha salvato il mio fuori, che stava bene, in salute, che mi sosteneva e, soprattutto, aveva le possibilità di difendersi dalla quotidianità, dal bisogno, da un'intimazione di sfratto...
non è sempre così

(S.F.)

mercoledì 13 marzo 2013

GLI INGREDIENTI DEL CARCERE? INERZIA, PASSIVITA', DEGRADO...



"L’ozio forzato viene riempito secondo la migliore tradizione
carceraria: sui piani, nelle sale socialità (quando ci sono), detenuti in
pantofole e pigiama"

Lucia Castellano - Direttore di un carcere

"Si è mantenuta l’idea di uno spazio «infantilizzante», dove al
soggetto è richiesto di obbedire a regole e di recepire ordinatamente quanto a
lui fornito e proposto: dal luogo, al cibo, dal volontariato, alla pratica burocratica
che scandisce la quotidianità. Tutto è passività, nulla è organizzazione
«responsabilizzante»"

Mauro Palma - Presidente del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura

"La prigione non ha mai riabilitato nessuno. Ha invece avuto il
risultato di «prigionizzare» i reclusi… la «prigionizzazione» è l’opposto stesso
della riabilitazione, è l’ostacolo maggiore sulla strada dell’inserimento"

Zygmunt Bauman - Sociologo


"In sostanza viene a mancare al detenuto la possibilità
di realizzare un giudizio obiettivo e sereno sui propri atti, nonché un approfondimento
sincero della conoscenza di sé"

Francesco Ceraudo - Medico penitenziario

"Si tengono lezioni di alta criminalità e ci si allea per
colpi futuri da mettere a segno una volta liberi"

Lucia Castellano - Direttore di un carcere

"Il medio boss diventa per lui una specie di divinità, segue con
attenzione le sue lezioni su come diventare un vero delinquente, si applica e
impara… passati 5 anni la prima cosa che farà sarà organizzare una bella
rapina"

Gherardo Colombo - Magistrato
                
                                                           UNA PROPOSTA




La pena visibile è un progetto organico e articolato che mira a modellare un nuovo scenario esecutivo della pena: una sanzione finalmente allontanata dall’opacità delle mura carcerarie e trasportata fuori, nella società. La realizzazione di un’interazione in cui vengono coinvolti i vecchi protagonisti della pena ma stavolta con funzioni più “aperte”, visibili, attive e con la presenza di un nuovo soggetto: la società, i suoi spazi, le sue relazioni.
Una pena che si esprime “dentro” un consorzio sociale in grado di produrre meccanismi afflittivi più aggiornati, garantendo, al contempo, un sistema di controllo adeguato. Un modello di sanzione “visibile” che, grazie alla co-partecipazione sociale, responsabilizzi il reo e gli fornisca stimoli positivi che possano finalmente distoglierlo da propositi devianti e indirizzarlo consapevolmente verso la pratica costante e continuata di regole sociali condivise.

La Pena Visibile, Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore



lunedì 11 marzo 2013

COSTRUIRE NUOVE CARCERI? NO, GRAZIE!


"La creazione di ogni nuovo posto in carcere verrebbe a costare alla
collettività 27.638,30 euro. Ai quali andranno aggiunte le spese per l’aumento del
numero del personale, per il mantenimento e così via. Il tutto, come si è visto, per
avere come risultato che il 68 per cento delle persone passate dal carcere commettono
nuovi reati dopo la loro liberazione!

Gherardo Colombo - Magistrato

"Con 180 milioni di euro si costruirebbero al massimo tre carceri
che darebbero spazio a circa 600 detenuti nel 2019"

Stefano Anastasia - Sociologo

"La costruzione di nuove carceri, la ristrutturazione e l’ampliamento
di quelle esistenti assorbono ingenti risorse finanziarie, ma non riescono a migliorare
in modo tangibile le condizioni di vita dei detenuti"

Sentenza della Corte dei Conti


"In Italia in media si spendono 120 euro al giorno per detenuto, e un
intervento sociale di 120 euro al giorno pro capite risolverebbe molti problemi"

Emilio Santoro - Filosofo


"Allo Stato a cranio je costamo 150 euri al giorno… 150 euro al
giorno!!!...ma si me davano pure ‘a metà… ma da mo’ che avevo smesso de
 ruba'!"

Er Braciola - Detenuto

                                                        UNA PROPOSTA


La pena visibile è un progetto organico e articolato che mira a modellare un nuovo scenario esecutivo della pena: una sanzione finalmente allontanata dall’opacità delle mura carcerarie e trasportata fuori, nella società. La realizzazione di un’interazione in cui vengono coinvolti i vecchi protagonisti della pena ma stavolta con funzioni più “aperte”, visibili, attive e con la presenza di un nuovo soggetto: la società, i suoi spazi, le sue relazioni.
Una pena che si esprime “dentro” un consorzio sociale in grado di produrre meccanismi afflittivi più aggiornati, garantendo, al contempo, un sistema di controllo adeguato. Un modello di sanzione “visibile” che, grazie alla co-partecipazione sociale, responsabilizzi il reo e gli fornisca stimoli positivi che possano finalmente distoglierlo da propositi devianti e indirizzarlo consapevolmente verso la pratica costante e continuata di regole sociali condivise.

La Pena Visibile, Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore

LA PENA VISIBILE: L'OBIETTIVO DEL PAMPHLET




Obiettivo del pamphlet è dimostrare che l’esperienza dell’utilizzo del carcere quale luogo ideale e irrinunciabile dell’esecuzione della sanzione penale, deve ritenersi finita: causa fallimento.

Serve un nuovo concetto di sanzione finalizzato a responsabilizzare l’autore di un reato orientando così le sue scelte future verso condotte più consapevoli e positive. Una sanzione che sia però visibile, che dia cioè alla società e alla vittima del reato di partecipare il percorso sanzionatorio inflitto al colpevole e che muova da due urgenze: ricreare intorno al reo un ambiente nuovo e condizionante e dissolvere così l’ambiente carcerario risolvendo in tal modo sia il problema del sovraffollamento che quello della riabilitazione dei condannati. 
La pena visibile non ha come obiettivo quello di annullare il carattere punitivo del carcere ma di convertire quella punizione in attività e relazioni utili alla società e, soprattutto, in grado di risarcire la società del danno che l’azione delittuosa ha perpetrato a suo carico.

sabato 9 marzo 2013

E' POSSIBILE UNA PUNIZIONE DIVERSA DAL CARCERE?

"Se davvero si vuole che le persone commettano meno reati dovrebbe
dunque essere individuato un sistema per rispondere alla trasgressione
di tutt’altro genere rispetto all’inflizione della pena"

Gherardo Colombo - Magistrato

"Il debito va risarcito non con il sacrificio della libertà ma con
un buon impiego di questa libertà, con una prestazione a favore della comunità
ferita… a mio giudizio… la pena di domani"

Elvio Fassone - Magistrato

"Non si potrebbe, infine, pensare a pene diverse dal carcere, a condannati
che pagano il loro debito verso la società, per esempio, compiendo
lavori utili per la società stessa, in una «riparazione costruttiva?"

Carlo Arturo Jemolo - Giurista

"Il progetto rieducativo è una contraddizione se
non vi è l’apertura alla comunità esterna"

Sebastiano Vassalli - Giurista e Ministro della Giustizia

"Il carcere che funziona non è quello che priva della
libertà, ma che produce libertà"

Lucia Castellano - direttore di un carcere


La pena visibile è un progetto organico e articolato che mira a modellare un nuovo scenario esecutivo della pena: una sanzione finalmente allontanata dall’opacità delle mura carcerarie e trasportata fuori, nella società. La realizzazione di un’interazione in cui vengono coinvolti i vecchi protagonisti della pena ma stavolta con funzioni più “aperte”, visibili, attive e con la presenza di un nuovo soggetto: la società, i suoi spazi, le sue relazioni.
Una pena che si esprime “dentro” un consorzio sociale in grado di produrre meccanismi afflittivi più aggiornati, garantendo, al contempo, un sistema di controllo adeguato. Un modello di sanzione “visibile” che, grazie alla co-partecipazione sociale, responsabilizzi il reo e gli fornisca stimoli positivi che possano finalmente distoglierlo da propositi devianti e indirizzarlo consapevolmente verso la pratica costante e continuata di regole sociali condivise.

La Pena Visibile, Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore

STONATURE


La chitarra, alla fine, fu autorizzata ad entrare. Reparto G11, secondo piano.  
Il reparto aveva finalmente una chitarra. Un evento rivoluzionario dentro un carcere.Fu grazie all'intercessione di Padre Vincenzo, più influente delle nostre precedenti venti richieste tutte cestinate.

La chitarra fu scortata da un agente. Transitò lungo il corridoio accompagnata dagli sguardi annegati nel buio dietro i blindati e respiri trattenuti, manco si trattasse di una donna sensuale.
Era, al contrario, una chitarra ignobile. Deforme, di un colore sbiadito, le corde ad altezza diseguale e annerite dall'usura.  Dentro, per una sola ragione: accompagnare i canti della messa di reparto del sabato. Ecco perché era stata autorizzata a entrare.
Dopo la messa, infatti, Don Vincenzo doveva consegnarla a un ufficio della sorveglianza o riportarla alla sua canonica fino alla messa successiva.  
La diedero a me. Per accordarla.
Era più di un anno che, in quanto carcerato, non ne toccavo una.  La imbracciai, sentii il legno addosso, il  profumo tipico e, improvvisamente, un rivolo d'energia cominciò a circolarmi nel sangue. A fortificare il corpo. 
Avevo voglia di suonare. Ma non potevo. Il mio compito era solo quello: accordare lo strumento. La sistemai alla buona, credo un tono e mezzo sotto. Meglio non si poteva fare (almeno credo).
La chitarra. Per parecchi sabati successivi, la aspettavamo. E lei, puntualmente, arrivava, unica visita gradita del sabato. Poco prima della messa, coi compagni ci giocavamo gli spiccioli di minuti a disposizione consumandoli per cantare le canzoni che piacevano a noi. Facevamo in fretta, Battisti, Beatles, Battiato suonati a velocità quasi doppia per non perderci neanche un attimo di quella musica, lì dentro, così nuova e diversa.
Poi la messa di Padre Vincenzo, io alla chitarra e "Candeloro", "Maccheroni", "Er Capitano",  Gianluca,Gianni "Er malizia", Claudio e "tu sei la mia vita altro io non ho..." cantata in una amalgama sonora che per dissonanze e stecche avrebbe potuto ispirare parecchi compositori contemporanei.
Poi un giorno, la svolta. Padre Vincenzo, che era un giovanissimo prete pugliese, dopo la messa dirottò quella chitarra verso la mia cella. Me la porse. Così, d'impeto. "Io non ti ho dato nulla" mi bisbigliò. Capii al volo e ricevetti quel corpo di legno con le mani che tremavano e lo nascosi  sotto la branda (se ricordo bene).
Ero emozionato. Avevo una chitarra in cella. Per me significava solo una cosa: una  prigionia meno dolorosa. Avrei potuto suonare solo a notte fonda. Dopo l'ultimo passaggio della sorveglianza. Avvertii di tutto ciò Gianluca ed Enzo (i miei vicini di cella)  con la promessa, solenne, di suonare senza disturbare i loro sonni.
Suonare di notte è bellissimo. Dentro una prigione lo è ancora di più. Accovacciato coi piedi sopra il water e nascosto dietro un piccolo separé,  mi limitavo a sfiorare quelle corde malconce. Il suono di una chitarra di notte è straordinario. Fuori dalla grata, la luna a guardarmi, una specie di medusa bianca sospesa nel cielo, aria profumata che penetrava dentro, soffiata dalla campagna umida  e quella musica...ossia  un banale accordo di Re maggiore che diventa qualcosa di concreto che vedi circolare, caldo, che si propaga come un infuso benefico, come ossigeno... mentre il carcere dorme.
Durò solo un paio di settimane. Vennero a svegliarmi all'alba. Tre agenti. "Perquisizione" dissero.
Annuii. L'appuntato "buono" avanzò una proposta: "Se ce la consegni spontaneamente non faremo perquisizione (tradotto: daccela tu o  ti mettiamo a soqquadro tutta la cella). Mi voltai. Fu solo in quel momento che  mi accorsi che la chitarra occupava  in larghezza quasi  mezza cella. Mi venne da sorridere. Consegnai la chitarra agli agenti. Partì un procedimento. Io e Padre Vincenzo, gli imputati.
A me non fecero nulla. Il buon Padre Vincenzo (che, intanto, aveva confessato la sua "cessione illegale di strumento musicale") ebbe un formale richiamo dai suoi superiori e dall'ispettore di reparto. Fu condannata solo la chitarra. Che non tornò più. Che non potei più  abbracciare. Né suonare. 
Mi rimaneva solo lei.  La galera. E il suo orribile suono di chiavi, urla e metallo.
Amen. 
(di S.Ferraro, da Galera, le ultime incisioni )

sabato 2 marzo 2013

PER ESEMPIO...


"Il penitenziario ebbe su Schwam le conseguenze che assolutamente tutti i penitenziari devono produrre, almeno finché si manterrà la loro attuale organizzazione: Egli ne uscì dieci volte peggiore di quando vi era entrato. Gli esempi deplorevoli, la lontananza di tutti gli esseri buoni, il rancore verso quanti avevano in qualche modo preso parte alla sua condanna, la perdita di qualsiasi sentimento d'onore che egli non credeva di poter mai più ristabilire: Tutto si alleò per deteriorargli l'anima.

Da Schawn di Jacob Friedrich Abel (Lipsia, 1787)

 "La punizione detentiva è antica quanto la storia dell'uomo. In molti paesi le carceri sono assai affollate. Ve ne sono alcune fornite di qualche comodità, ma in altre le condizioni di vita sono assai precarie, per non dire indegne dell'essere umano. I dati che sono sotto gli occhi di tutti ci dicono che ogni forma punitiva in genere riesce solo in parte a far fronte al fenomeno della delinquenza. Anzi, in vari casi, i problemi che crea sembrano maggiori di quelli che tenta di risolvere. Ciò impone un ripensamento in vista di una qualche revisione (…) del sistema carcerario, per adeguarlo maggiormente alle esigenze della persona umana, prevedendo anche un maggior ricorso alle pene non detentive.

Papa Giovanni Paolo II  (Città Del vaticano 2002)

 "Bisogna offrire al detenuto delle occasioni vere e reali di dimostrare la serietà dei suoi propositi e chiedere al detenuto di dimostrarla senza oscillazioni. Se con il delitto egli ha contratto un debito con i suoi simili questo debito va pagato: ma va pagato non con una sofferenza inerte e degradante, ma con uno sforzo positivo e costruttivo. Non male per male ma bene per male"

Elvio Fassone, giudice, Torino, 18 Maggio 1989

"AHò...allo Stato, a cranio, je costamo centocinquanta euri ar giorno. Centocinquanta euri ar giorno! Se me ne daveno pure la metà, da mò che avevo smesso de rubbà".

Er Braciola Rebibbia Nuovo Complesso 2002