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venerdì 31 gennaio 2014

STATI UNITI: IL FUTURO DELLA SANZIONE E' UNA PENA FUORI DAL CARCERE E "PIU' VISIBILE"


da "THE NEW YORK TIMES", Bill Keller

IN recent years Americans have begun to wise up to the idea that our overstuffed prisons are a shameful waste of lives and money. Lawmakers have recoiled from the high price of mass incarceration (the annual per-inmate cost of prison approaches the tuition at a good college) and some have recognized that our prisons feed a pathological cycle of poverty, community dysfunction, crime and hopelessness. As crime rates have dropped, the public has registered support for reforms that would have fewer nonviolent offenders languishing in prison. For three years in a row, the population of America’s prisons has inched down; 13 states closed prisons last year. Efforts to fix the perpetual misery machine that is our criminal justice system have won support not only from progressives and academics but fromconservatives (both fiscal and evangelical), from enlightened law enforcement groups, from business and even from advocates for crime victims.
This emerging consensus is good news, since our prisons are an international scandal, and we can only hope the new attitude doesn’t evaporate with the next Willie Horton-style rampage or spike in the crime rate. But it raises an important question: What is the alternative? How do we punish and deter criminals, protect the public and — the thing prisons do most abysmally — improve the chances that those caught up in the criminal justice system emerge with some hope of productive lives?
That has become about the hottest subject in criminal justice, the focus of a profusion of experiments in states and localities, and of researchers trying to determine what works. California alone, which is under a Supreme Court mandate to relieve its inhumanely congested prisons, is offering counties $1 billion a year to try out remedies. A study released on Monday by the Urban Institute examined 17 states, red and blue, testing an approach called Justice Reinvestment — reducing prison costs and putting some of the savings into alternatives. Perhaps the most striking thing, said Nancy La Vigne, the principal investigator on the report, is the enthusiasm of law-and-order states that a few years ago might have shunned such programs as bleeding-heart liberalism.
In conversations with a wide range of criminal justice experts, I found several broad strategies that seem promising:
SENTENCING America has long been more inclined than other developed countries to treat crime as a disposal problem; “trail ’em, nail ’em and jail ’em,” is our tough-on-crime slogan. Beginning in the ‘70’s, rising crime rates, compounded by the crack epidemic and the public fear it aroused, set off a binge of punitive sentencing laws. Three-strikes, mandatory minimum sentences and requirements that felons serve a minimum portion (often 85 percent) of their sentence lengthened the time offenders — especially drug offenders, and especially black men — spent in lockup. Restoring common sense to sentencing is the obvious first step in downsizing prisons. New York rolled back its notorious Rockefeller drug laws, California has softened its three-strikes law and several other states have tinkered with rigid sentencing laws. But there is stiff resistance from prosecutors, who use the threat of long sentences to compel cooperation or plea deals. Reformers concede that those draconian laws have had a modest effect on the crime rate, but because of them we are paying to imprison criminals long past the time they present any danger to society. “Keeping a 60-year-old in prison until he’s 65 does close to zero for crime rates,” said Jeremy Travis, president of John Jay College of Criminal Justice. “If we’re really seeing something deep going on here, the proof will be whether legislators have the political will to roll back sentencing.”
SUPERVISION For every inmate in our state and federal prisons, another two people are under the supervision of probation or parole. Caseworkers are often poorly paid and usually overwhelmed. About all they can do is keep count of an offender’s violations until the system decides to kick that offender back to prison. A few jurisdictions have tried to make parole and probation less of a revolving door back to prison, with some encouraging results. They focus attention on offenders considered most likely to commit crimes. They send caseworkers out of the office and into the community. They use technology (ankle bracelets with GPS, A.T.M.-style check-in stations, Breathalyzer ignition locks to keep drinkers from driving) to enhance supervision. They employ a disciplinary approach called “swift and certain,” which responds promptly with a punishment for missing an interview or failing a drug test. The punishments start small, then escalate until the offender gets the message and changes his behavior — preferably before he has to be sent back to prison. Mark Kleiman, a U.C.L.A. public policy professor who is a champion of the technique, says, “It’s basically applying the principles of parenting to probation.”

DIVERSION Many jurisdictions now send drug offenders to special courts that divert nonviolent drug abusers to treatment instead of prison. Adam Gelb, director of the Public Safety Performance Project at the Pew Charitable Trusts, said more than 2,000 drug courts have been created. The popularity of drug courts has spawned other specialized venues — veterans’ courts, domestic violence courts — that aim to address problems rather than simply dispense punishment.


La Pena Visibile (o della fine del carcere), di Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore




http://www.nytimes.com/2014/01/27/opinion/keller-america-on-probation.html?hp&rref=opinion&_r=1

mercoledì 15 gennaio 2014

E I DETENUTI DEL CARCERE DI PAOLA METTONO IN SCENA "LA PENA VISIBILE"

(diretti dall'attore Lele Nucera che ha adattato il testo)

In occasione di una tombolata organizzata all'interno della Casa Circondariale di Paola dalle volontarie del Centro Socio- culturale "P.G. Frassati", cinque detenuti hanno portato in scena uno dei cinque atti di una rappresentazione teatrale ideata, scritta, creata e diretta dall'attore sidernese Lele Nucera, tratta dal libro di Salvatore Ferraro " La pena visibile o della fine del carcere". Lele, che ha interpretato un giovane educatore di ampie vedute con un'idea del carcere e della sanzione penale differente da quella che attualmente vige, è stato affiancato da altri quattro compagni detenuti che si sono improvvisati attori per un giorno. Insieme a lui Filippo D'Aprile nelle vesti del direttore, Giuseppe Caccamo ha interpretato un tossico dipendente, Mihai Patrascu uno spacciatore e angelo Aquino un cantastorie. Lo spettacolo è stato preparato in un paio di settimane sfruttando le ore di socialità in una saletta adibita alla lettura, ripassando la parte nelle ore d'aria tra una passeggiata e l'altra. Tutti i detenuti presenti al teatro hanno apprezzato il tema trattato, mostrandosi entusiasti e seguendo attentamente lo spettacolo che, pur avendo come tema un argomento drammatico e di attualità, è stato interpretato in chiave sarcastica. Attraverso battute ironiche è stata mostrata la vera, nuda e cruda realtà carceraria ad emergere. Molti i consensi, gli applausi, le risate e i complimenti che gli "attori per un giorno" hanno ricevuto dalla platea. Si spera che in un periodo delicato come quello che oggi stanno vivendo i detenuti, questo primo atto portato in scena, sia l'inizio di un progetto che Lele Nucera ha da tempo in mente ed è desideroso di realizzare. Oggi sta andando avanti e si sta concretizzando anche e soprattutto grazie all'aiuto, al sostegno e alla fiducia che la responsabile volontaria ha posto nei suoi confronti. L'attore sidernese è dal suo primo ingresso in carcere che nutre il desiderio di utilizzare il suo tempo in modo costruttivo per se e per gli altri e questo per lui è un piccolo passo, una luce di speranza. Lele ci scrive un suo pensiero parafrasando Ascanio Celestini, autore del libro "Pro Patria" : «Mi viene in mente una frase presente nel libro di Celestini e che oggi condivido pienamente "solo i migliori dovrebbero andare in carcere, perché per un intellettuale la galera è opportunità e gli ignoranti non dovrebbero avere il permesso di essere reclusi. Stavo chiuso in cella ventidue ore al giorno e visto che non potevo lavorare con le mani, ho fatto lavorare il cervello. Mi sono messo a leggere." «Questa è una frase che oggi mi rappresenta, mi dà fiducia, perché la cultura ti può rendere libero.», conclude Lele Nucera -






lunedì 19 agosto 2013

LA PENA VISIBILE: UN'IDEA CHE VUOLE ANDARE OLTRE IL CARCERE

Da La Riviera del 18 Agosto 2013

L'incipit del libro la Pena Visibile è già molto significativo: un dialogo.  Un dialogo vero, tra due persone. Quasi il desiderio (esaudito) dell'autore di rompere subito quel muro di gelo con la società, i cittadini e insinuare il germe della possibilità di un confronto vero su una tematica respingente, sgradevole come il carcere e la punizione. Entri così dentro La Pena Visibile (o della fine del carcere - Rubbettino Editore), con un dialogo, e vieni subito catturato dal vortice della sua combinazione creativa di idee, analisi scientifica, scrittura creativa. Ci entri, prima con la paura, forte, di trovarti di fronte il solito "mattone"  accademico indigeribile su un argomento altrettanto indigeribile come il carcere per poi scoprire che ad accompagnarti in questo viaggio dentro gli inferi delle galere c'è una scrittura leggera e argomenti suggestivi, forti, pieni di esempi presi dall'esperienza che l'autore ha vissuto personalmente o che ha ricevuto dalla testimonianza di altri detenuti ma anche di magistrati, poliziotti penitenziari, educatori, scrittori e vittime del reato. Il libro ti aiuta davvero a capire tutto del carcere, delle ragioni per cui in quasi tre secoli di storia non sia riuscito a produrre risultati utili, dimostra addirittura, e sono pagine efficacissime, le ragioni per cui la stragrande maggioranza di chi entra in un carcere è destinato quasi "compulsivamente" a ricommettere il reato.  Con bozzetti teatrali molto efficaci (Ferraro da anni racconta il carcere a teatro con spettacoli musicali e la Band Presi Per Caso) l'autore supera i momenti di dialogo più difficili, quelli che negli anni hanno creato più emotività, pregiudizio, paura. E poi arriva la proposta, quella Pena Visibile, che sta già facendo molto discutere. Pioneristica, anticonformista, audace, opinabile ma da prendere in considerazione, radicale, rivoluzionaria, riformatrice...ecco alcuni dei giudizi che sono stati formulati intorno all'idea, al progetto riformatore contenuto nel libro La Pena Visibile (o della fine del carcere - Rubbettino Editore). Un'idea che guarda avanti, convinta che l'esperienza del carcere, almeno per i reati meno gravi, abbia fatto il suo tempo e che, come tutti i prodotti culturali e storici, debba prima o poi essere sostituita da altro. Quello di Ferraro è un invito a cominciare a pensare già da ora diversamente, a scarcerarci da dentro, a liberarci da un'idea evidentemente fuorviante: quella che il carcere sia qualcosa di eterno. Perché i cambiamenti, spesso, sono repentini e ci colgono di sorpresa. E come disse il filosofo francese Alain Brossat "noi in un futuro a noi prossimo guarderemo alle carceri come oggi guardiamo ai lager nazisti" ossia con orrore e con la consapevolezza di aver attraversato questa esperienza con un'evidente perdita della ragione. La ragione, ecco: il percorso della Pena Visibile è cosi semplice e razionale, sconfigge così efficacemente i paradossi del carcere, suggerisce in modo drastico che un cambiamento deve finalmente arrivare. Oggi in carcere ci sono 66.000 detenuti di cui solo 9.000 sono quelli pericolosi o condannati per reati gravi. per quei 57.000 detenuti per reati non gravi sarebbe giunta ora di pensare a qualcosa di diverso.
Le idee oltre il carcere, come vedete, ci sono.



mercoledì 14 agosto 2013

PRESENTAZIONE DEL LIBRO "LA PENA VISIBILE" A SIDERNO


Domenica 18 Agosto alle ore 19,00 presso lo splendido KUKUMERLA di SIDERNO (Villa Comunale), Presentazione del libro LA PENA VISIBILE (o della fine del carcere - Rubbettino Editore)

Ne parleranno con l'autore:
Avv. Antonella Sotira
Avv. Giuseppe Belcastro




Non mancate!
 

mercoledì 7 agosto 2013

LA PENA VISIBILE, IL CARCERE FUORI


PUBBLICATO IL 30 LUGLIO 2013
MARCO DEL CIELLO
L’estate della politica italiana è cominciata con le dichiarazioni dei ministri della Giustizia Cancellieri e della Difesa Mauro a favore di un provvedimento di amnistia che risolva finalmente il problema del sovraffollamento carcerario. Negli stessi giorni il Presidente della Repubblica Napolitano riceveva Marco Pannella solo per confermare al leader radicale la sua attenzione per le condizioni di vita dei detenuti. Infine, il 26 giugno il Consiglio dei Ministri ha approvato il cosiddetto Decreto Carceri [1], con l’obiettivo di aumentare il ricorso alle pene alternative.
Il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. (Ansa/Guido Montani)
DECRETO CARCERI NON È SUFFICIENTE. Un testo normativo che si muove certo nella giusta direzione, ma che già a una prima occhiata risulta largamente insufficiente di fronte alle dimensioni del problema: secondo i dati del Ministero della Giustizia, aggiornati al 31 maggio, in Italia ci sono 65.886 detenuti per soli 46.995 posti, con un tasso di affollamento pari al 140%.
IL CONTO ALLA ROVESCIA DELL’EUROPA.E non è solo un dramma umanitario, perché la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ci ha concesso meno di un anno di tempo, fino a maggio 2014, per riportare la situazione alla normalità. Scaduto questo termine, quasi ogni detenuto avrà diritto a un risarcimento nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro per il trattamento subito. Senza contare la vergogna di essere ufficialmente etichettati come l’unico Paese europeo in cui ancora si pratica sistematicamente la tortura.
AMNISTIA O PENE ALTERNATIVE? Sempre più politici e intellettuali indicano l’amnistia come soluzione al problema del sovraffollamento, ma c’è anche chi si sforza di ragionare fuori dagli schemi e di immaginare alternative radicali al carcere stesso. Salvatore Ferraro, ad esempio, ha da poco dato alle stampe un volume (La pena visibile, Rubettino, 2013) in cui raccoglie i frutti di anni di riflessione e al tempo stesso getta i semi per un possibile e auspicabile dibattito di ampio respiro sulla pena e la sua esecuzione.
La pena visibile, il libro di Salvatore Ferraro.
LA PENA VISIBILE, IL LIBRO DI FERRARO.Ferraro, lui stesso ex detenuto e appassionato studioso di diritto, riassume nei primi capitoli del suo libro tutte le critiche che accompagnano l’istituzione carcere fin dalla sua nascita, e in particolare l’incapacità di rieducare i condannati – incapacità testimoniata in Italia da un tasso di recidiva pari al 68%, più di due detenuti su tre tornano cioè a delinquere una volta scontata la pena –, per poi avanzare una proposta articolata e originale.
IL LAVORO AL POSTO DELLA DETENZIONE. La maggior parte dei detenuti, oltre il 90%, non ha commesso reati violenti come l’omicidio e la rapina, questo il suo ragionamento, perciò non rappresentano un pericolo immediato per la società. Perché quindi rinchiuderli in carcere, cioè in un un ambiente dove l’illegalità è la norma e i detenuti non hanno nessun incentivo a cambiare in meglio il proprio comportamento? E se invece questi criminali non violenti fossero inseriti in un contesto lavorativo, dove potrebbero essere tenuti sotto controllo e al tempo stesso interagire in modo positivo con la società circostante? Se, insomma, la loro pena diventasse visibile, come suggerisce il titolo del libro?
RIEDUCAZIONE E CROLLO DELLA RECIDIVA. Ferraro immagina musei e biblioteche dove la riabilitazione del condannato avviene attraverso il lavoro in una realtà completamente diversa dal carcere, e sappiamo per esperienza che tra quanti già oggi usufruiscono di misure alternative alla detenzione il tasso di recidiva crolla dal 68 al 19%. La pena mantiene intatto il suo contenuto afflittivo, ma questo si riduce a quanto previsto espressamente dalla Costituzione e dalle leggi e cioè la privazione della libertà di movimento. Il condannato vive ristretto tra gli spazi di casa sua e del luogo di lavoro, ma non deve subire tutti i piccoli e grandi abusi e le privazioni aggiuntive a cui sono sottoposti i detenuti, dalle perquisizioni immotivate fino alla mancanza di cure mediche adeguate, senza contare la separazione dalla famiglia e dagli amici.

INCENTIVI PER LA BUONA CONDOTTA. Al tempo stesso deve però mettere costantemente a confronto la sua condizione con quella di colleghi e utenti che invece godono di piena libertà. Se questo confronto rende per contrasto più dolorosa la sua privazione, gli offre anche un modello positivo da seguire per riacquistare la piena libertà di movimento. Durante l’esecuzione della pena il suo comportamento viene valutato periodicamente e può essere punito con il ritorno in carcere oppure premiato con la concessione di spazi sempre più ampi dove spostarsi, dal cortile del museo o della biblioteca fino all’intero quartiere. Ha quindi due ottimi motivi per tenere una buona condotta: conservare i vantaggi di cui gode e guadagnarne di nuovi.
CONTRO LA FOLLIA DISORDINATA DELLE CARCERI.L’autore espone il suo ambizioso progetto in meno di duecento pagine, con l’ausilio di citazioni, grafici ed elenchi puntati. Non mancano paragrafi dialogici, sul modello platonico, per meglio illustrare i passaggi più delicati e rispondere alle principali obiezioni. Ulteriori spunti sono disponibili sul blog omonimo del libro . Per forma e contenuti uno sforzo ammirevole di intelligenza, un disegno cartesiano che si contrappone alla follia disordinata delle nostre carceri, luoghi dove per paradosso un’istituzione che non riesce a rispettare le sue proprie leggi – e le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ne sono solo la più autorevole testimonianza – dovrebbe insegnare ai condannati il rispetto della legge. Resta da sperare che il Paese che ha dato i natali al filosofo Cesare Beccaria sappia recuperare quello spirito illuminista e riformatore che nel tempo ha prodotto importanti conquiste di civiltà come l’abolizione della pena di morte. Magari anche facendo tesoro delle idee anticonformiste di Salvatore Ferraro.

martedì 23 luglio 2013

I NUOVI SCENARI ESECUTIVI DELLA PENA. DIALOGO SUL SISTEMA CARCERARIO

Il sistema carcerario ha fallito nella sua missione. Da  strumento di riabilitazione e reinserimento  è diventato luogo di specializzazione per croimini  e di reclutamento per la  mala vita. Insomma, è fallita l’idea  dell’utilizzo del carcere, come  luogo ideale e irrinunciabile dell’esecuzione della pena.


Occorre ripensare complessivamente il modello di reinserimento del detenuto nella società.  Di qui l’esigenza di chiudere questa struttura penitenziaria e dimettere  a punto un nuovo modello di sanzione penale, capace di responsabilizzare l’autore di un reato orientando le sue scelte future verso condotte più consapevoli e positive.

Un modello  fondato sulla  visibilità, ossia la possibilità, da parte della società e della vittima del reato, di partecipare e  rendere visibile, quindi,  il percorso sanzionatorio inflitto al reo.Questi, in sintesi gli elementi emersi dal convegno “I nuovi scenari esecutivi della pena-Dialogo sul sistema carcerario”, tenutosi  a Potenza nella Sala Inguscio della Regione Basilicata.

A fornire l’occasione per  accendere i riflettori sulla realtà, sconosciuta e ignorata dai mass media,   che vive da recluso il condannato, la presentazione del   libro di Salvatore Ferraro  “La pena visibile - (o della fine del carcere) Rubbettino editore. “E’ un saggio originale, completo, positivo, che fa un bilancio ragionato della realtà del carcere e guarda al percorso del sanzionamento della pena in ottica costituzionale - ha sottolineato Fabio Viglione, avvocato penalista, nell’introdurre i lavori - Il libro mi ha emozionato per il modo con cui affronta le varie tematiche!”

E per rendere visibili le condizioni di un carcere “invisibile”, Viglione ha svolto alcune riflessioni ad alta voce: il carcere non garantisce la sicurezza per la società, anzi favorisce la recidiva per chi esce dal carcere; le condizioni di vita del detenuto sono disumane, per l’inerzia, la limitazione degli affetti, il distacco dal contesto lavorativo, la soppressione o la limitazione della libertà: “ A fronte di tutte  queste anomalie – ha aggiunto ancora Fabio Viglione - si registrano costi elevatissimi. Un detenuto costa 180€ al giorno!”.

Ad illustrare i nuovi orizzonti che apre la proposta di una “Pena visibile”, l’autore del volume,Salvatore Ferraro. “Oltre ad essere disumano, il carcere è poco utile.  Il detenuto è condizionato dalle  gerarchie interne  fondate sulla gravità del reato e della pena - ha sottolineato Ferraro -. La forza del carcere non è il suo funzionamento, ma la sua opacità. La società deve cominciare a ragionare della possibilità di altri scenari esecutivi della pena,pensando a percorsi diversi per persone pericolose (il 7%) e persone non pericolose”.

La pena visibile, appunto, mira a  soddisfare l’interesse «reale» della vittima del reato e quello della società, assicurando il risarcimento del danno da parte del reo, la responsabilizzazione di chi ha commesso il reato e la possibilità concreta di reinserimento a chi ha violato le regole.

“Non è un libro dei sogni- ha evidenziato Giuseppe Rippa, direttore di Quaderni Radicali e diAgenzia Radicale -. Delinea un percorso graduale riformatore per l’eliminazione del carcere”.

“I relatori si inseriscono con elementi dirompenti   in un dibattito impantanato, come quello sulla giustizia, che non produce effetti. - ha commentato Vito De Filippo, Presidente della Giunta Regionale -. In Basilicata i Presidi Giudiziari si realizzano con molti disagi e qualche incertezza”. E, poi, un annuncio: “Questa mattina - ha concluso De Filippo - ho firmato tutti i referendum sulla giustizia presentati dal Partito Radicale, al quale sono iscritto da 10 anni”.                             

Giuseppe Orlando (Il Quotidiano della Basilicata)


martedì 16 luglio 2013

PRESENTAZIONE DEL LIBRO "LA PENA VISIBILE" A POTENZA



VENERDI 19 LUGLIO: presentazione de LA PENA VISIBILE (o della fine del carcere) Potenza h. 16,30 
Palazzo della Regione, Sala Inguscio
Nell'ambito del convegno "I nuovi scenari esecutivi della pena"





venerdì 7 giugno 2013

LA PENA VISIBILE: RECENSIONE DA PANORAMA.IT



http://news.panorama.it/politica/in-giustizia/Oltre-il-carcere-un-saggio-di-Salvatore-Ferraro






di Maurizio Tortorella

Il carcere, almeno in Italia, è ormai al fallimento se non già miseramente fallito. Non soltanto per i numeri scandalosi (circa 68 mila detenuti con un sovraffollamento scandaloso), ma anche per la totale, dimostrata incapacità di offrire ai suoi ospiti involontari il minimo percorso rieducativo. Certo, esistono sporadici, clamorosi casi positivi, e viene in mente il carcere di Bollate (Milano) dove i 1.100 reclusi possono lavorare, ma la media delle strutture penitenziarie italiane è purtroppo un vero disastro.
Quali possono essere le soluzioni? C’è chi propone di aumentare il numero delle prigioni, chi sostiene la necessità di introdurre pene alternative. Salvatore Ferraro, giurista ed ex detenuto  ha un’idea diversa, sicuramente opinabile, ma che merita di essere ascoltata. Nel saggio La pena visibile (Rubbettino, 185 pagine, 12 euro), Ferraro ipotizza una teoria innovativa dell’esecuzione penale, legata al modello di un percorso sanzionatorio cui partecipano il reo, la vittima del reato e la società.
«Bisogna mettere da parte il carcere» scrive Ferraro «e individuare un nuovo mediatore con caratteristiche ed elementi strutturali diversi, che assecondino l’esigenza di chiarezza, di un’afflizione redimente, nonché la co-partecipazione pubblica al percorso della pena».
Ferraro ipotizza, insomma, la fine del carcere dove il condannato fisicamente scompare. E sostiene che invece il reo potrebbe essere assegnato a un ambiente specifico per scontarvi pubblicamente la sua pena, per renderla «visibile»: per esempio un ospedale, dove la sua libertà verrebbe compressa in determinati ambiti fisici.
Il comportamento del «detenuto visibile», ovviamente, verrebbe sottoposto a continue valutazioni, dalle quali dipenderebbe la durata della pena.
Com’è ovvio, questo regime penitenziario si applicherebbe, secondo Ferraro, esclusivamente ai condannati non pericolosi, che però rappresentano attualmente una quota elevata, il 94,5%, degli ospiti delle strutture carcerarie. Costoro, alla fine di ogni giornata trascorsa a espiare la «pena visibile» dovrebbero dormire nella propria abitazione, agli arresti domiciliari, oppure in strutture d’accoglienza pubbliche.
La vittima del reato trarrebbe un vantaggio dal lavoro del reo, che grazie al lavoro obbligato avrebbe il denaro per un risarcimento.
Venato forse da qualche intellettualismo e forse un po’ troppo teorico, il saggio di Ferraro ha comunque il merito di analizzare un sistema penitenziario che ha dimostrato di non funzionare (e continua anzi a dimostrare la sua negatività sociale con la clamorosa recidiva di chi vi passa attarverso) e di proporre una soluzione. Una soluzione che avrebbe sicuramente un punto di forza nei ridotti costi economici. Va ricordato, peraltro, che oggi un detenuto costa in media 150 euro al giorno, e che negli ultimi dieci anni il sistema penitenziario nel suo insieme è costato agli italiani 29 miliardi di euro.

UN'IDEA EVOLUTIVA DI "PENA" E SANZIONE

Un filosofo: Fra mezzo secolo si parlerà del carcere come noi oggi parliamo dei
patiboli di una volta, delle catene e dei condannati squartati (Brossat 2003, p. 28)

Una sanzione espiata «fuori dalle mura», dentro la società,
parrebbe cancellare o attenuare di molto il suo ingrediente principale:
la sostanza afflittiva.
Una sanzione senza pena «vera», senza patimento, si palesa
monca. La sofferenza del reo serve a gratificare la vittima, a «purificare» la collettività dal delitto. La pena inflitta ha il compito
primario di ricordare al reo l’errore commesso; e, in fondo, l’inizio
di un percorso rieducativo passa anche attraverso «il segnale
d’inizio» di una porta che si chiude.
Può darsi.
Ma, intanto, che significa sofferenza?
È un’idea oggettiva? Ha una veste formale definitiva? Ce l’ha
mai avuta? Si è manifestata nella società con caratteristiche univoche?
No.
L’idea di pena, di sofferenza, è solo una convinzione
culturale sedimentata. Accettare passivamente un’idea preconfezionata
di sofferenza non ha, pertanto, nessuna giustificazione.
L’idea di sofferenza è stata, infatti, oggetto, in tutta la storia,
di una costante evoluzione. L’ultima, la privazione della libertà
attraverso la prigionia, ha rappresentato, per circa tre secoli, il progetto
più evoluto e idoneo di pena rispetto alle pregresse «idee di
sofferenza» incarnate dal boia, dai ferri roventi, dallo squartamento
dei condannati, dalla gogna: idee, modelli culturali, progressivamente
superati.

Un giudice: Per la collettività turbata dal delitto… ieri questa risposta era la
morte, ieri l’altro i supplizi, oggi la perdita di libertà, domani, forse, una riparazione
costruttiva, nel segno della solidarietà (Fassone in Gozzini 1997, p. 41)

Anche la prigionia in carcere può essere, dunque, un modello
punitivo oggetto di un’ulteriore evoluzione. Può spostarsi da un’idea
pre-confezionata di sterile afflizione, che ha ormai manifestato
tutti i suoi limiti, a «qualcos’altro».
Parlare oggi di pena, di sofferenza, significa anche accettare la
possibile esistenza di una diversa e nuova idea di essa. Bisogna solo
vedere in che termini e in che modi tale pena riesca a esprimere
funzioni, effetti e risultati in grado di soddisfare le aspettative della
vittima del reato e della società.
Si potrebbe, così, dimostrare che la società potrebbe essere in
grado di avviare meccanismi interattivi sufficienti a generare nel
destinatario della sanzione qualcosa che egli percepirà come pena,
come sofferenza.
Si tratta solo di poter concepire un’idea di pena, di patimento
in un senso, diremo, più contemporaneo. Senza rinunciare
a quella che è la sua caratteristica principale ovvero
rappresentare il patimento temporaneo derivante da una condizione
indesiderata:
1. che crea sofferenza;
2. che crea limite;
3. che crea differenza;
4. che crea preferenza per un’altra, migliore, condizione.
Facendo attenzione a che l’aspetto afflittivo non crei nel destinatario
della sanzione «effetti collaterali» indesiderati, ossia quei
già enunciati sbandamenti psicologici che faranno perdere qualsiasi
utilità e qualità alla nuova modalità sanzionatoria.


(da La Pena Visibile, di Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore, pagg. 112-114)


giovedì 30 maggio 2013

IL CARCERE DA ROTTAMARE

Da Leggo - 29 maggio 2013
Il guardasigilli Cancellieri: «Le nostre prigioni sono indegne di un paese civile»

ROMA - Carcere chiude causa fallimento. Quello prospettato da Salvatore Ferraro nel libro La pena visibile o della fine del carcere (Rubbettino) è un progetto audace, suggerito dalla crisi del sistema carcerario che, da più di tre secoli, manifesterebbe le sue falle.
E l'alternativa concreta è quella di una pena attiva, visibile, da scontare in luoghi pubblici. Ecco la rivoluzion "pellichiana" di Salvatore Ferraro. 
Oggi, da studioso di Diritto, propone una riscrittura del percorso risocializzante del reo, svincolato dall'impiego del carcere, quella macchina burocratica soggetta all'usura della storia. Come il carcere è passivo e invisibile e rende invisibili i detenuti, vessandoli, e privandoli di una reale rieducazione, così la pena dev'essere visibile, aperta, attiva: «Il sanzionato adesso è solo» scrive Ferraro, destinato a uno spazio pubblico o privato, dall'ufficio al museo, in cui le possibilità di movimento siano circoscritte e in cui non trovi più riconosciuti disvalori originari, al riparo dalla promiscuità con altri colpevoli. Il condannato sarà in minoranza, costretto ad assumersi responsabilità, «collocato ai blocchi di partenza della società», chiamato a produrre risultati se vuole accumulare crediti e non debiti che allunghino la pena.
L'ambiente carcerario, invece, è quello in cui le credenze delinquenziali vengono rivitalizzate, in cui il contatto quotidiano con altri colpevoli alimenta l'aspirazione alla recidiva. È fonte di una desertificazione psicologica e incubatore di quel chiasmo strada-reato-reato- carcere-carcere-strada-reato: insomma, in prigione il detenuto è la sua colpa e la pena che deve espiare. È un invisibile, convinto che il suo status sia immodificabile. Ma per quel 94,5% di condannati giudicati "non pericolosi", la rinascita è possibile. Anche l'incontro tra il ministro Guardasigilli Annamaria Cancellieri, il Sappe e altri sindacati del corpo di Polizia Penitenziaria ha rimarcato la crisi delle carceri, con 43mila posti letto regolamentari a fronte di 66mila detenuti; e 7mila agenti in meno, cosicché il Sappe auspica «una complessiva e organica riforma del Corpo» per «riallineare i ruoli dei vice Sovrintendenti, dei vice Ispettori e dei vice Commissari». E ha ragione Vittorio Antonini, coordinatore dell'Associazione Papillon di Rebibbia e detenuto dal 1985, che parla di questo libro come di un «piccolo miracolo. Perché chi migliora non lo fa grazie al carcere ma nonostante il carcere».

Di Isabella Pascucci



martedì 28 maggio 2013

CARCERI, PER UNA PENA VISIBILE

da Agenzia Radicale



Per alcuni il nome deriverebbe da 'coercere'. Ma secondo altri è nell' aramaico che la parola carcere affonda le sue radici: carcar, si scriveva nell'antica lingua semitica. Tumulare. Un verbo che Salvatore Ferraro, giurista ed ex detenuto  ha usato spesso durante la presentazione del suo ultimo saggio, 'La pena visibile', edito da Rubbettino.

Forse perchè anche la sua mente, prima ancora del suo stesso corpo, è stata seppellita nel terreno arido del sistema giudiziario italiano: spogliato - e non solo metaforicamente - delle sue vesti di cittadino, il detenuto viene estirpato dalla comunità che ha 'infettato' con il suo carico di minaccia per essere inumato nel limbo della passività.

Qui, nelle prigioni di Stato, Ferraro ha trascorso un anno e quattro mesi di carcere preventivo, per poi scontare altri otto mesi ai domiciliari. Da quel momento fu chiaro lo scopo da perseguire: impegnarsi affinchè la “tumulazione carceraria” sia sostituita da una sanzione che restituisca il condannato alla società attraverso relazioni e attività ad essa utili, cosicchè la pena diventi 'visibile' e l'espiazione dellla colpa fruttuosa.

Non si tratta di abolire la punizione, ma di riformare drasticamente un sistema che, spiega Ferraro, è fallito: la reclusione, oramai da trecento anni, non soddisfa nessuna delle esigenze per cui è applicata. L'uomo è privato della sua libertà perchè ha un debito da estinguere nei confronti della società in cui vive, ma la pena carceraria non farà altro che farlo sentire creditore rispetto a un mondo che lo ha dimenticato, cancellato, annullato.

Dietro le sbarre c'è l'invisibilità. Ed è contro questo mantello stregato fa scomparire l'uomo che Ferraro punta la sua bacchetta magica: il condannato deve pagare, ma deve farlo fuori, attraverso un percorso sanzionatorio a cui partecipano lui stesso, la vittima del reato e la comunità.

Il reo potrebbe ad esempio lavorare in un ospedale, in un museo e, svolta la sua attività quotidiana, potrebbe tornare a dormire a casa propria, agli arresti domiciliari, oppure in strutture d'accoglienza pubbliche. Un sistema ovviamente da applicare soltanto ai condannati non pericolosi che, come sottolinea ancora il giurista, in Italia rappresentano il 94,% dei reclusi: per ognuno di loro – è bene ricordarlo – ogni mese lo Stato spende più di 4000 euro.

Negli ultimi dieci anni il sistema penitenziario italiano nel suo insieme è costato circa 30 miliardi di euro. E un tasso di recidiva altissimo. E la condanna di Strasburgo. E diritti persi. E centinaia e centinaia di suicidi. Quella di Ferraro, questo è certo, oltre a rappresentare un interessante spunto di riflessione (e l'ennesima occasione per un profondo mea culpa di società e istituzioni) è probabilmente un'utopia intessuta di proposte intriganti e teorie poco praticabili.

Ma è sicuramente questo il punto di partenza per lasciare ai fantasmi le loro catene e ridare agli uomini la loro carne, le loro ossa, i loro muscoli. La loro visibilità. (F.U.)