Il secondo appuntamento della
"socialità" intorno alla Pena Visibile l'abbiamo convocato Domenica
21 Aprile ore 11,30 dentro il piccolo e graziosissimo Teatro Manhattan nel
cuore del rione Monti a Roma. Ad attenderci... generose tazze di caffè
africano, the caldo inglese e un paio di ottime crostate romane (Carla e
Marianna le cortesissime artefici di tali prelibatezze).
Il tutto in un ambiente in
chiaroscuro davvero molto accogliente.
Un incontro (volutamente) più
ristretto rispetto alla spettacolare riunione della prima
"socialità" ma presenze sempre
superiori al previsto. Molto bene. Sono
davvero contento.
La presenza in sala di amici coi
quali ho già avuto in passato la possibilità di sviluppare dialoghi
approfonditi su pena carceraria e sanzione (tra cui ben tre membri dei PRESI
PER CASO) mi ha consentito di aprire la "socialità" della domenica
parlando dell'ambiente carcerario. Un argomento decisivo per comprendere alcune
dinamiche paradossali della pena tradizionale carceraria.
Il carcere, infatti, la sua
filosofia afflittiva fondata esclusivamente sul congelamento della persona e
sul suo accorpamento e concentramento assieme ad altre persone è tuttora la
causa del rafforzamento dell'"ambiente carcerario deviante". Il
concentramento della persona in un sistema di relazioni che tutto sommato
tollera, giustifica, arriva a comprendere la commissione del reato non può
ovviamente cambiare lo schema di credenze e valori precedentemente acquisito
dal reo ma tuttalpiù rafforzarlo. Ho provato a dimostrare come la repressione
totale della libertà e la promiscuità carceraria fanno decrescere l'incidenza
afflittiva della privazione ma, soprattutto, abbassano la qualità degli
interessi personali del reo resettando ogni sua spinta verso la creatività,
l'operosità la positività. In pratica la pena tradizionale carceraria è inerzia,
degrado, passività, de-responsabilizzazione.
L'amico Gaetano, soffermandosi
sul dopo pena, ha evidenziato come la totale assenza di meccanismi di ricollocamento
del reo ai blocchi di partenza della società e l'assenza di una politica di
inclusione del detenuto sia uno dei fattori più condizionanti la
"recidiva" (circa il 70% di chi entra in carcere, una volta fuori,
ricommette il reato). Tutto però nasce già dentro con lo svuotamento delle
ultime risorse positive del reo e l'accostamento alle regole della sub-cultura
che il reo trova/ritrova dentro il carcere.
Durante la "socialità"
di questa domenica si è altresì sottolineato che spesso la situazione di stallo
in cui la "questione carceraria" evidentemente si trova è figlia di
posizioni estreme, radicali, di punti di vista che mai si incontrano in quanto
entrambi viziati da fattori esclusivamente emotivi che sfociano, da una parte,
in forcaiolismi inamovibili ma anche, dall'altra, in atteggiamenti
caritatevoli, alla fine, del tutto inutili o poco costruttivi.
Alcune delle persone presenti,
vittime di reati (furto e aggressione) hanno testimoniato l'effettiva e
comprensibile difficoltà a perequare un giudizio sereno sulla persona che ha
cagionato il danno. Si è però congiuntamente affermato che qualsiasi decisione
in merito al percorso sanzionatorio che l'autore di un atto delittuoso (in tal
senso, ci siamo soffermati sui reati c.d. non pericolosi, definizione un po'
ambigua in quanto la pericolosità o dannosità di un atto è sempre figlia di una
convinzione morale) deve compiere deve
essere destituito da qualsivoglia emotività e finalizzato a costruire un
qualcosa che risarcisca il danno alla vittima reale, alla società e,
contestualmente, consenta al reo di poter praticare delle regole sociali che
gli consentano di modificare il proprio schema di credenze e valore. Questo
passa necessariamente da una sanzione che non sopprima del tutto la libertà ma
la limiti e consenta al reo di mettere in atto comportamenti, fatti, relazioni
e risultati che possano approdare a risultati economicamente quantificabili. Ho
così presentato, anche se in maniera necessariamente sintetica, lo schema del
percorso sanzionatorio chiamato PENA VISIBILE, in particolare l'aspetto
afflittivo della limitazione della libertà, della vicinanza con un consorzio
più libero, con l'attività utile, fattore spesso distante dalle abitudini
culturali di chi delinque. Ho illustrato, su esplicita richiesta, i quattro
livelli di controllo (c.d. SINOPTICON che sostituirebbero l'attuale PANOPTICON
"anomalo") previsti dal progetto la Pena Visibile e ragionato sul
concetto di soppressione totale della libertà. Due ore e mezza sono passate di
getto. Davvero colpito dalla nutrita e vivace partecipazione e da come questo
tema, in verità indigesto e "allontanante", alla fine riesca a
coinvolgere tantissimo e a sollecitare in ognuno domande, ragionamenti,
proposte. Queste "socialità" (che mi piacciono davvero tante) sono la
dimostrazione che se c'è dialogo vero i punti d'incontro sono tanti, tutti
fecondi e fruttuosi. Vi terremo aggiornati....
Per chi fosse interessato a
partecipare o, addirittura, organizzare la prossima "socialità" a
casa propria o in un altro posto prescelto può scrivere a lapenavisibile@libero.it
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