lunedì 8 aprile 2013

CARCERE: PARADOSSI E PERICOLI DEL RAPPORTO ESCLUSIVO TRA SORVEGLIANTE E SORVEGLIATO

La polizia penitenziaria è forse la professionalità che, in quasi
trecento anni di storia della pena intramuraria, ha più di tutti
sperimentato sulla propria pelle le beffarde dinamiche della pena
tradizionale. Questa figura è rimasta esposta agli aspetti più duri,
degradanti, conflittuali delle interazioni carcerarie: l’opacità e
brutalità dei reparti, il degrado della vita reclusa, l’interazione, a
volte conflittuale a volte semplicemente assistenziale, col detenuto.


"Autorità e finzione. La commedia va in scena quotidianamente
secondo un copione collaudato in cui carcerieri e carcerati interpretano
la parte, rispettivamente, del potere sovrano e del suddito"


"Il detenuto chiede incessantemente al poliziotto; il
poliziotto chiede incessantemente al superiore. E la «domandina» li accomuna
tutti nella ritualità del chiedere. Ma è più di un rapporto simbiotico. Autorità,
obbedienza, punizione, omertà sono particelle galeotte di un’osmosi secolare
tra carcerieri e carcerati, che condanna il carcere all’immobilismo"


Lucia Castellano - direttore carcere

Nella divisa dell’agente di custodia si sono condensate quotidianamente
(e per quotidiano si intende sia di giorno che di notte)
professionalità diverse, spesso, antitetiche: il carceriere, lo psicologo,
il militare, l’educatore, a volte anche il medico. Senza che
l’agente avesse la misura giusta per indossarne gli abiti.
L’agente spesso si è trovato solo. Altre volte ha ecceduto nell’esercizio
del proprio potere. In linea di massima, ha vissuto il suo
ruolo nella sgradevole sensazione di rappresentare un avamposto
di «diritto sospeso» dove solo la perizia e l’esperienza hanno veicolato
la scelta giusta e «salvifica»; o dove, invece, la tensione, la
stanchezza e l’abbrutimento creati o comunque favoriti dal contesto
intramurario hanno generato sacche di violenza e illegalità.
Quello messo in scena dal carcere in questi trecento anni è stato
un brutale film di tensione, fatto di frizioni, sconforto, isolamento
e sprazzi d’umanità che ha come protagonisti detenuti e agenti.
La società non ha coscienza di questo complesso rapporto tra
sorveglianza e sorvegliato; ne trova traccia giusto in qualche stralcio
di atto processuale o processo archiviato.
I detenuti dentro i reparti, a volte si suicidano. Anche gli agenti,
non di rado, lo fanno.

"Tanti poliziotti non ce la fanno a reggere tutto questo.
Si impiccano, proprio come i detenuti, o si sparano un colpo di pistola in bocca"


Lucia Castellano - direttore carcere

Ma nessuno potrà mai vedere. Anche le interazioni tra questi
due protagonisti della scena carceraria sono recluse. Sono un
rapporto, un dialogo, un’interazione diretta, ravvicinata, chiusi nel
buio di un reparto che esclude tutto il resto.
L’esclusività, la chiusura, l’opacità di questo rapporto deve terminare.
È tempo che «sorvegliare e punire» sia fatto sotto il sole.

(da LA PENA VISIBILE, di Salvatore Ferraro, pagg. 94-95, Rubbettino Editore)





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