venerdì 7 agosto 2015

CALLE LUNA CALLE SOL




Raggiunsi l'apice del degrado della mia carcerazione un giorno d'estate.
Era Agosto, il mese del silenzio e della morte. Almeno in carcere.
Tutti scappavano ad agosto: i medici, i volontari, gli educatori, gli psicologi. La sorveglianza era dimezzata, le celle, al contrario, si riempivano.
Ad Agosto, la società di fuori approfittava delle vacanze per ripulire le strade da alcolizzati, barboni, clandestini, ladruncoli, zingari. Tutti venivano stipati nelle celle che divenivano un ammasso di caldo e sudore.
Quella mattina mi ero svegliato con una sensazione sgradevole addosso, mal di testa, stanchezza, stordimento da stress e nausea.
Intorno c'era cattivo odore,  l'odore di pelle umana sporca uccideva l'aria. L'acqua del rubinetto era di un caldo imbevibile. E non si respirava.
I giri di chiavi, il metallo battuto nelle grate, le porte che si aprivano, il vociare sbiadito mi ricordavano che era l'ora del passeggio.
Ma chi voleva uscire?
Mezzo reparto si era allagato: tubo rotto. E l'acqua che ne era uscita era divenuta ormai stagnante e puzzolente. Stavamo in una gabbia di caldo con l'odore di sporco.
E poi quella canzone: Calle Luna Calle Sol. Sparata nell'aria da un esercito di televisori accesi coi volti dei detenuti nuovi, i detenuti di agosto, a offrirmi il tragico ritratto della povertà.
Era tutto indigeribile.
Stavolta non c'era ironia, non c'era rabbia, non c'era cattiveria, non c'era speranza in quelle facce.
C'era solo povertà. Povertà vera.
E il sole era cattivo, l'acqua era tossica e la musica irrideva quella scena.

Ho ancora i brividi sulla pelle.

(di S.Ferraro, da Galera, le ultime incisioni)


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