lunedì 6 maggio 2013

INSERTI


In carcere arrivava un solo giornale.  Ce lo davano gratis  ogni settimana: si trattava di Famiglia Cristiana. Lo trovavi puntualmente sopra la branda, al rientro del "passeggio" mattutino, avvolto nel cellophan sporco.
Gli altri giornali dovevi ordinarli in anticipo.
Se volevi la copia del mercoledì, per esempio, la dovevi ordinare quattro giorni prima e t'arrivava  verso le 11,00 pieno zeppo di notizie ormai  invecchiate.  
Il costo del giornale,  rispetto al prezzo di fuori, era quasi raddoppiato.  L'importo ti veniva  detratto dal conto che i familiari (chi ce li aveva) provvedevano periodicamente ad alimentare con un po' di denari (chi ce li aveva).
In carcere si leggevano molti quotidiani. Ma il top era  il "corriere dello sport".
 Quasi tutti i detenuti ordinavano una copia del corriere dello sport, lo si faceva a rotazione:  i soldi erano davvero pochi.

Io allora ordinavo un altro giornale: La Repubblica.
Anche all'epoca era un giornale di merda ma,  forse, un po' meno di oggi.
Dei giornali mi piacevano, soprattutto, gli inserti. Gli inserti dei quotidiani, dentro il carcere, erano dei piccoli guerriglieri rivoluzionari. Con i polpastrelli recidevi il cellophan e loro scivolavano  per terra lasciando una scia di colore vivo nel pavimento smorto e grigiastro della cella.
Erano pagine diverse, colorate, con molte foto. La cella subiva uno shock. Troppo colore all'improvviso.
Raccoglievo quegli inserti, gli davo un'occhiata: era un modo come un altro di passare il tempo.
Tutto qui.
Poi il venerdì era il "gran giorno" perché in cella "atterrava" l'inserto grosso: il Venerdì di Repubblica.  Ed era festa. Tanta carta, tante foto, tante notizie e almeno un articolo meritevole di essere letto.
Ma soprattutto, il "Venerdì di Repubblica" aveva LEI: la striscia.
Tecnicamente, una strip profumata che trovavi quasi sempre a metà lettura. Scollavi il lembo adesivo, agitavi un poco, e il gioco era fatto. La cella si riempiva di quell'essenza e, per un attimo, l'odore stantio, senza vita, della cella veniva sopraffatto . La "botta" era forte. Quasi sensuale.
Sollevavi il naso e aspiravi in profondità quella chimica che confondevi per ossigeno puro, benevolo. Il profumo era una novità piacevole, che  cambiava l'umore della giornata.
Se ne era accorto Nicola che, quella strip imbevuta di profumo,  me la chiedeva sempre  in dono.  Io gliela allungavo dal blindato mentre lui incollava  il suo naso a quel lembo di carta adesiva succhiandone la fragranza quasi fosse cibo salvifico.
Il carcere ha un odore terribile. Sa di morte.  Quel profumo combatteva la morte e combatteva il carcere.


Così ogni venerdì la scena si ripeteva. Sentivo i suoi passi, alla solita ora. Nicola chiedeva l'autorizzazione ad accostarsi alla mia cella, riceveva da me  la strip profumata. Le dava una prima poderosa aspirata e se la portava in cella per godersene la linfa per ore e ore, fino a seccarla.
Pare che Nicola procedesse all'operazione di "sniffo" standosene sdraiato sulla branda, con la testa ficcata sotto il cuscino.  
 Ogni venerdì.

Non ho più rivisto Nicola. Intendo dire, fuori. Dovessi incontrarlo gli chiederei solo di quelle strip. Gli domanderei se, in quei mesi, l'hanno aiutato a vivere meglio la sua condizione di recluso. Se, magari, quel profumo era il tentativo di far affiorare con più concretezza il ricordo di  una persona . O se era solo il semplice desiderio di un respiro diverso. Gli chiederei se quelle fragranze l'hanno, in qualche modo, aiutato ad andare avanti.  O se, al contrario, oggi prova repulsione per i profumi, tutti i profumi,  per lui ormai inevitabile e beffardo  richiamo  di quei terribili "Venerdì" di prigione.
(di S.Ferraro, da Galera, le ultime incisioni)

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