martedì 23 luglio 2013

I NUOVI SCENARI ESECUTIVI DELLA PENA. DIALOGO SUL SISTEMA CARCERARIO

Il sistema carcerario ha fallito nella sua missione. Da  strumento di riabilitazione e reinserimento  è diventato luogo di specializzazione per croimini  e di reclutamento per la  mala vita. Insomma, è fallita l’idea  dell’utilizzo del carcere, come  luogo ideale e irrinunciabile dell’esecuzione della pena.


Occorre ripensare complessivamente il modello di reinserimento del detenuto nella società.  Di qui l’esigenza di chiudere questa struttura penitenziaria e dimettere  a punto un nuovo modello di sanzione penale, capace di responsabilizzare l’autore di un reato orientando le sue scelte future verso condotte più consapevoli e positive.

Un modello  fondato sulla  visibilità, ossia la possibilità, da parte della società e della vittima del reato, di partecipare e  rendere visibile, quindi,  il percorso sanzionatorio inflitto al reo.Questi, in sintesi gli elementi emersi dal convegno “I nuovi scenari esecutivi della pena-Dialogo sul sistema carcerario”, tenutosi  a Potenza nella Sala Inguscio della Regione Basilicata.

A fornire l’occasione per  accendere i riflettori sulla realtà, sconosciuta e ignorata dai mass media,   che vive da recluso il condannato, la presentazione del   libro di Salvatore Ferraro  “La pena visibile - (o della fine del carcere) Rubbettino editore. “E’ un saggio originale, completo, positivo, che fa un bilancio ragionato della realtà del carcere e guarda al percorso del sanzionamento della pena in ottica costituzionale - ha sottolineato Fabio Viglione, avvocato penalista, nell’introdurre i lavori - Il libro mi ha emozionato per il modo con cui affronta le varie tematiche!”

E per rendere visibili le condizioni di un carcere “invisibile”, Viglione ha svolto alcune riflessioni ad alta voce: il carcere non garantisce la sicurezza per la società, anzi favorisce la recidiva per chi esce dal carcere; le condizioni di vita del detenuto sono disumane, per l’inerzia, la limitazione degli affetti, il distacco dal contesto lavorativo, la soppressione o la limitazione della libertà: “ A fronte di tutte  queste anomalie – ha aggiunto ancora Fabio Viglione - si registrano costi elevatissimi. Un detenuto costa 180€ al giorno!”.

Ad illustrare i nuovi orizzonti che apre la proposta di una “Pena visibile”, l’autore del volume,Salvatore Ferraro. “Oltre ad essere disumano, il carcere è poco utile.  Il detenuto è condizionato dalle  gerarchie interne  fondate sulla gravità del reato e della pena - ha sottolineato Ferraro -. La forza del carcere non è il suo funzionamento, ma la sua opacità. La società deve cominciare a ragionare della possibilità di altri scenari esecutivi della pena,pensando a percorsi diversi per persone pericolose (il 7%) e persone non pericolose”.

La pena visibile, appunto, mira a  soddisfare l’interesse «reale» della vittima del reato e quello della società, assicurando il risarcimento del danno da parte del reo, la responsabilizzazione di chi ha commesso il reato e la possibilità concreta di reinserimento a chi ha violato le regole.

“Non è un libro dei sogni- ha evidenziato Giuseppe Rippa, direttore di Quaderni Radicali e diAgenzia Radicale -. Delinea un percorso graduale riformatore per l’eliminazione del carcere”.

“I relatori si inseriscono con elementi dirompenti   in un dibattito impantanato, come quello sulla giustizia, che non produce effetti. - ha commentato Vito De Filippo, Presidente della Giunta Regionale -. In Basilicata i Presidi Giudiziari si realizzano con molti disagi e qualche incertezza”. E, poi, un annuncio: “Questa mattina - ha concluso De Filippo - ho firmato tutti i referendum sulla giustizia presentati dal Partito Radicale, al quale sono iscritto da 10 anni”.                             

Giuseppe Orlando (Il Quotidiano della Basilicata)


martedì 16 luglio 2013

PRESENTAZIONE DEL LIBRO "LA PENA VISIBILE" A POTENZA



VENERDI 19 LUGLIO: presentazione de LA PENA VISIBILE (o della fine del carcere) Potenza h. 16,30 
Palazzo della Regione, Sala Inguscio
Nell'ambito del convegno "I nuovi scenari esecutivi della pena"





venerdì 7 giugno 2013

LA PENA VISIBILE: RECENSIONE DA PANORAMA.IT



http://news.panorama.it/politica/in-giustizia/Oltre-il-carcere-un-saggio-di-Salvatore-Ferraro






di Maurizio Tortorella

Il carcere, almeno in Italia, è ormai al fallimento se non già miseramente fallito. Non soltanto per i numeri scandalosi (circa 68 mila detenuti con un sovraffollamento scandaloso), ma anche per la totale, dimostrata incapacità di offrire ai suoi ospiti involontari il minimo percorso rieducativo. Certo, esistono sporadici, clamorosi casi positivi, e viene in mente il carcere di Bollate (Milano) dove i 1.100 reclusi possono lavorare, ma la media delle strutture penitenziarie italiane è purtroppo un vero disastro.
Quali possono essere le soluzioni? C’è chi propone di aumentare il numero delle prigioni, chi sostiene la necessità di introdurre pene alternative. Salvatore Ferraro, giurista ed ex detenuto  ha un’idea diversa, sicuramente opinabile, ma che merita di essere ascoltata. Nel saggio La pena visibile (Rubbettino, 185 pagine, 12 euro), Ferraro ipotizza una teoria innovativa dell’esecuzione penale, legata al modello di un percorso sanzionatorio cui partecipano il reo, la vittima del reato e la società.
«Bisogna mettere da parte il carcere» scrive Ferraro «e individuare un nuovo mediatore con caratteristiche ed elementi strutturali diversi, che assecondino l’esigenza di chiarezza, di un’afflizione redimente, nonché la co-partecipazione pubblica al percorso della pena».
Ferraro ipotizza, insomma, la fine del carcere dove il condannato fisicamente scompare. E sostiene che invece il reo potrebbe essere assegnato a un ambiente specifico per scontarvi pubblicamente la sua pena, per renderla «visibile»: per esempio un ospedale, dove la sua libertà verrebbe compressa in determinati ambiti fisici.
Il comportamento del «detenuto visibile», ovviamente, verrebbe sottoposto a continue valutazioni, dalle quali dipenderebbe la durata della pena.
Com’è ovvio, questo regime penitenziario si applicherebbe, secondo Ferraro, esclusivamente ai condannati non pericolosi, che però rappresentano attualmente una quota elevata, il 94,5%, degli ospiti delle strutture carcerarie. Costoro, alla fine di ogni giornata trascorsa a espiare la «pena visibile» dovrebbero dormire nella propria abitazione, agli arresti domiciliari, oppure in strutture d’accoglienza pubbliche.
La vittima del reato trarrebbe un vantaggio dal lavoro del reo, che grazie al lavoro obbligato avrebbe il denaro per un risarcimento.
Venato forse da qualche intellettualismo e forse un po’ troppo teorico, il saggio di Ferraro ha comunque il merito di analizzare un sistema penitenziario che ha dimostrato di non funzionare (e continua anzi a dimostrare la sua negatività sociale con la clamorosa recidiva di chi vi passa attarverso) e di proporre una soluzione. Una soluzione che avrebbe sicuramente un punto di forza nei ridotti costi economici. Va ricordato, peraltro, che oggi un detenuto costa in media 150 euro al giorno, e che negli ultimi dieci anni il sistema penitenziario nel suo insieme è costato agli italiani 29 miliardi di euro.

UN'IDEA EVOLUTIVA DI "PENA" E SANZIONE

Un filosofo: Fra mezzo secolo si parlerà del carcere come noi oggi parliamo dei
patiboli di una volta, delle catene e dei condannati squartati (Brossat 2003, p. 28)

Una sanzione espiata «fuori dalle mura», dentro la società,
parrebbe cancellare o attenuare di molto il suo ingrediente principale:
la sostanza afflittiva.
Una sanzione senza pena «vera», senza patimento, si palesa
monca. La sofferenza del reo serve a gratificare la vittima, a «purificare» la collettività dal delitto. La pena inflitta ha il compito
primario di ricordare al reo l’errore commesso; e, in fondo, l’inizio
di un percorso rieducativo passa anche attraverso «il segnale
d’inizio» di una porta che si chiude.
Può darsi.
Ma, intanto, che significa sofferenza?
È un’idea oggettiva? Ha una veste formale definitiva? Ce l’ha
mai avuta? Si è manifestata nella società con caratteristiche univoche?
No.
L’idea di pena, di sofferenza, è solo una convinzione
culturale sedimentata. Accettare passivamente un’idea preconfezionata
di sofferenza non ha, pertanto, nessuna giustificazione.
L’idea di sofferenza è stata, infatti, oggetto, in tutta la storia,
di una costante evoluzione. L’ultima, la privazione della libertà
attraverso la prigionia, ha rappresentato, per circa tre secoli, il progetto
più evoluto e idoneo di pena rispetto alle pregresse «idee di
sofferenza» incarnate dal boia, dai ferri roventi, dallo squartamento
dei condannati, dalla gogna: idee, modelli culturali, progressivamente
superati.

Un giudice: Per la collettività turbata dal delitto… ieri questa risposta era la
morte, ieri l’altro i supplizi, oggi la perdita di libertà, domani, forse, una riparazione
costruttiva, nel segno della solidarietà (Fassone in Gozzini 1997, p. 41)

Anche la prigionia in carcere può essere, dunque, un modello
punitivo oggetto di un’ulteriore evoluzione. Può spostarsi da un’idea
pre-confezionata di sterile afflizione, che ha ormai manifestato
tutti i suoi limiti, a «qualcos’altro».
Parlare oggi di pena, di sofferenza, significa anche accettare la
possibile esistenza di una diversa e nuova idea di essa. Bisogna solo
vedere in che termini e in che modi tale pena riesca a esprimere
funzioni, effetti e risultati in grado di soddisfare le aspettative della
vittima del reato e della società.
Si potrebbe, così, dimostrare che la società potrebbe essere in
grado di avviare meccanismi interattivi sufficienti a generare nel
destinatario della sanzione qualcosa che egli percepirà come pena,
come sofferenza.
Si tratta solo di poter concepire un’idea di pena, di patimento
in un senso, diremo, più contemporaneo. Senza rinunciare
a quella che è la sua caratteristica principale ovvero
rappresentare il patimento temporaneo derivante da una condizione
indesiderata:
1. che crea sofferenza;
2. che crea limite;
3. che crea differenza;
4. che crea preferenza per un’altra, migliore, condizione.
Facendo attenzione a che l’aspetto afflittivo non crei nel destinatario
della sanzione «effetti collaterali» indesiderati, ossia quei
già enunciati sbandamenti psicologici che faranno perdere qualsiasi
utilità e qualità alla nuova modalità sanzionatoria.


(da La Pena Visibile, di Salvatore Ferraro, Rubbettino Editore, pagg. 112-114)


giovedì 30 maggio 2013

IL CARCERE DA ROTTAMARE

Da Leggo - 29 maggio 2013
Il guardasigilli Cancellieri: «Le nostre prigioni sono indegne di un paese civile»

ROMA - Carcere chiude causa fallimento. Quello prospettato da Salvatore Ferraro nel libro La pena visibile o della fine del carcere (Rubbettino) è un progetto audace, suggerito dalla crisi del sistema carcerario che, da più di tre secoli, manifesterebbe le sue falle.
E l'alternativa concreta è quella di una pena attiva, visibile, da scontare in luoghi pubblici. Ecco la rivoluzion "pellichiana" di Salvatore Ferraro. 
Oggi, da studioso di Diritto, propone una riscrittura del percorso risocializzante del reo, svincolato dall'impiego del carcere, quella macchina burocratica soggetta all'usura della storia. Come il carcere è passivo e invisibile e rende invisibili i detenuti, vessandoli, e privandoli di una reale rieducazione, così la pena dev'essere visibile, aperta, attiva: «Il sanzionato adesso è solo» scrive Ferraro, destinato a uno spazio pubblico o privato, dall'ufficio al museo, in cui le possibilità di movimento siano circoscritte e in cui non trovi più riconosciuti disvalori originari, al riparo dalla promiscuità con altri colpevoli. Il condannato sarà in minoranza, costretto ad assumersi responsabilità, «collocato ai blocchi di partenza della società», chiamato a produrre risultati se vuole accumulare crediti e non debiti che allunghino la pena.
L'ambiente carcerario, invece, è quello in cui le credenze delinquenziali vengono rivitalizzate, in cui il contatto quotidiano con altri colpevoli alimenta l'aspirazione alla recidiva. È fonte di una desertificazione psicologica e incubatore di quel chiasmo strada-reato-reato- carcere-carcere-strada-reato: insomma, in prigione il detenuto è la sua colpa e la pena che deve espiare. È un invisibile, convinto che il suo status sia immodificabile. Ma per quel 94,5% di condannati giudicati "non pericolosi", la rinascita è possibile. Anche l'incontro tra il ministro Guardasigilli Annamaria Cancellieri, il Sappe e altri sindacati del corpo di Polizia Penitenziaria ha rimarcato la crisi delle carceri, con 43mila posti letto regolamentari a fronte di 66mila detenuti; e 7mila agenti in meno, cosicché il Sappe auspica «una complessiva e organica riforma del Corpo» per «riallineare i ruoli dei vice Sovrintendenti, dei vice Ispettori e dei vice Commissari». E ha ragione Vittorio Antonini, coordinatore dell'Associazione Papillon di Rebibbia e detenuto dal 1985, che parla di questo libro come di un «piccolo miracolo. Perché chi migliora non lo fa grazie al carcere ma nonostante il carcere».

Di Isabella Pascucci



martedì 28 maggio 2013

CARCERI, PER UNA PENA VISIBILE

da Agenzia Radicale



Per alcuni il nome deriverebbe da 'coercere'. Ma secondo altri è nell' aramaico che la parola carcere affonda le sue radici: carcar, si scriveva nell'antica lingua semitica. Tumulare. Un verbo che Salvatore Ferraro, giurista ed ex detenuto  ha usato spesso durante la presentazione del suo ultimo saggio, 'La pena visibile', edito da Rubbettino.

Forse perchè anche la sua mente, prima ancora del suo stesso corpo, è stata seppellita nel terreno arido del sistema giudiziario italiano: spogliato - e non solo metaforicamente - delle sue vesti di cittadino, il detenuto viene estirpato dalla comunità che ha 'infettato' con il suo carico di minaccia per essere inumato nel limbo della passività.

Qui, nelle prigioni di Stato, Ferraro ha trascorso un anno e quattro mesi di carcere preventivo, per poi scontare altri otto mesi ai domiciliari. Da quel momento fu chiaro lo scopo da perseguire: impegnarsi affinchè la “tumulazione carceraria” sia sostituita da una sanzione che restituisca il condannato alla società attraverso relazioni e attività ad essa utili, cosicchè la pena diventi 'visibile' e l'espiazione dellla colpa fruttuosa.

Non si tratta di abolire la punizione, ma di riformare drasticamente un sistema che, spiega Ferraro, è fallito: la reclusione, oramai da trecento anni, non soddisfa nessuna delle esigenze per cui è applicata. L'uomo è privato della sua libertà perchè ha un debito da estinguere nei confronti della società in cui vive, ma la pena carceraria non farà altro che farlo sentire creditore rispetto a un mondo che lo ha dimenticato, cancellato, annullato.

Dietro le sbarre c'è l'invisibilità. Ed è contro questo mantello stregato fa scomparire l'uomo che Ferraro punta la sua bacchetta magica: il condannato deve pagare, ma deve farlo fuori, attraverso un percorso sanzionatorio a cui partecipano lui stesso, la vittima del reato e la comunità.

Il reo potrebbe ad esempio lavorare in un ospedale, in un museo e, svolta la sua attività quotidiana, potrebbe tornare a dormire a casa propria, agli arresti domiciliari, oppure in strutture d'accoglienza pubbliche. Un sistema ovviamente da applicare soltanto ai condannati non pericolosi che, come sottolinea ancora il giurista, in Italia rappresentano il 94,% dei reclusi: per ognuno di loro – è bene ricordarlo – ogni mese lo Stato spende più di 4000 euro.

Negli ultimi dieci anni il sistema penitenziario italiano nel suo insieme è costato circa 30 miliardi di euro. E un tasso di recidiva altissimo. E la condanna di Strasburgo. E diritti persi. E centinaia e centinaia di suicidi. Quella di Ferraro, questo è certo, oltre a rappresentare un interessante spunto di riflessione (e l'ennesima occasione per un profondo mea culpa di società e istituzioni) è probabilmente un'utopia intessuta di proposte intriganti e teorie poco praticabili.

Ma è sicuramente questo il punto di partenza per lasciare ai fantasmi le loro catene e ridare agli uomini la loro carne, le loro ossa, i loro muscoli. La loro visibilità. (F.U.)


sabato 18 maggio 2013

PRESENTAZIONE DEL LIBRO "LA PENA VISIBILE"

Lunedì 27 Maggio alle ore 19,00 alla DOMUS TALENTI di Roma (Via Quattro
Fontane, 113 - in prossimità di Via Nazionale), presentazione del libro: LA
PENA VISIBILE (o della fine del carcere) di Salvatore Ferraro (Rubbettino
Editore).
E' POSSIBILE IMMAGINARE UNA PENA SENZA IL CARCERE?

Interverranno:

- On. Rita Bernardini - Radicali Italiani
- Prof. Luigi Ferrajoli - Giurista
- Avv. Fabio Viglione - Avvocato
- Vittorio Antonini - Coordinatore Associazione Papillon Rebibbia

Sarà presente l'autore

(evento organizzato in collaborazione con l'associazione Papillon Rebibbia)




La pena visibile" è una teoria dell'esecuzione penale che mira a dimostrare come l'esperienza dell'utilizzo del carcere, quale luogo ideale e irrinunciabile dell'esecuzione della sanzione penale, deve ritenersi finita: causa fallimento. Questa teoria non si limita a offrire fatti e argomentazioni atti unicamente a descrivere e provare le ragioni di questo fallimento. È una teoria che aspira a molto di più. Essa, infatti, oltre a offrire ragioni nuove e più profonde nello spiegare dove e in che modo il carcere abbia rivelato i suoi lati deboli, paradossali e contraddittori, mira a modellare un nuovo scenario esecutivo della pena: alternativo, utile e produttivo. Questo modello è fondato su una specifica qualità: la visibilità, ossia la possibilità, da parte della società e della vittima del reato, di partecipare il percorso sanzionatorio inflitto al reo; e muove da due presupposti, meglio, due urgenze fondamentali: ricreare intorno al reo un nuovo ambiente "condizionante" e dissolvere "l'ambiente carcerario"