"Aveva
un solo pensiero in testa: farsi arrestare di nuovo".
Oggi uno dei quotidiani italiani a maggiore diffusione riporta questa notizia: un anziano, 73 anni, prova a fare una rapina al solo fine di farsi arrestare e tornare "dentro".
Perché?
Voglio approfittare di questa
storia per anticipare uno degli argomenti più importanti trattati ne La Pena Visibile. Ossia: la recidiva.
Chi ha commesso un reato o più di
uno, nonostante il carcere, l'esecuzione o il "trattamento rieducativo"
a cui è stato sottoposto durante l'espiazione, finisce per ricadere (recidiva
deriva dalla locuzione latina recado che vuol dire, appunto, ricadere) nello
stesso sbaglio e a commettere di nuovo un reato.
Perché succede questo?
Ma, soprattutto, perché succede così spesso? ( i recidivi oggi rappresentano l'87% dell'attuale popolazione
carceraria italiana).
Le ragioni sono tante. La Pena Visibile (libro in corso di pubblicazione per la Rubbettino editore), per esempio, ne individua almeno sei, tutte direttamente legate al modo in cui la pena tradizionale gestisce il percorso del reo. Un percorso che, in definitiva, anziché fornire strumenti di auto-determinazione, utilità, consapevolezza, riesce solo a procurare al reo sentimenti di vittimismo, deresponsabilizzazione sociale, inerzia, degrado. Ma soprattutto: piena assuefazione alla vita e alle dinamiche sociali del carcere. Fate attenzione alla giustificazione fornita dall'anziano...
Le ragioni sono tante. La Pena Visibile (libro in corso di pubblicazione per la Rubbettino editore), per esempio, ne individua almeno sei, tutte direttamente legate al modo in cui la pena tradizionale gestisce il percorso del reo. Un percorso che, in definitiva, anziché fornire strumenti di auto-determinazione, utilità, consapevolezza, riesce solo a procurare al reo sentimenti di vittimismo, deresponsabilizzazione sociale, inerzia, degrado. Ma soprattutto: piena assuefazione alla vita e alle dinamiche sociali del carcere. Fate attenzione alla giustificazione fornita dall'anziano...
«Voglio passare quel che resta della mia vita in carcere: sto meglio lì che fuori».
E', questa, forse, una delle ragioni più residuali ma anche più significative per cui una persona che ha già commesso qualche reato, fatto un po' di carcere, senta la necessità o, comunque, non abbia alcun timore di tornare in carcere.
Non bisogna essere anziani o
disperati. Anche un giovane nel pieno
delle forze potrebbe avere "un'uscita" del genere. Il fattore scatenante è aver conosciuto il carcere, le sue
dinamiche, le carambole psicologiche che produce.
Mesi di detenzione, di pratica ambientale, hanno fatto diventare il carcere una seconda realtà, assolutamente accettabile. In alcuni casi, addirittura, confortevole. Il carcere ha somministrato i suoi ingredienti e il reo li ha digeriti tutti: il carcere «appare» al detenuto più ingiusto del reato che ha commesso, in carcere si frequenta un gruppo sociale provvisorio, congelato, verso il quale non si ha nessuna responsabilità, al quale si può offrire la migliore maschera di se stessi.
Quelli fra i più deboli vedono, addirittura, nella
carcerazione una possibilità per essere finalmente qualcuno. In carcere
si può millantare, si può essere un’altra persona, le interazioni sociali sono così
artificiose e falsate che ci si può reinventare dal nulla una vita o un passato
glorioso.
Ecco perché in carcere qualcuno riesce a stare
bene. Perché quel gruppo sociale, minuscolo, prevedibile, senza assunzioni di responsabilità
può divenire «comodo» rispetto ai problemi della vita di fuori.
Se non si hanno alternative.
E, allora, una volta liberi, tornare a delinquere
sarà un’attività senza costi particolarmente gravosi. Ne varrà, insomma, la
pena.
Si torna in carcere perché fuori la vita, intanto,
è andata avanti con nuovi strumenti, nuovi tempi. Nuove strade e nuovi
linguaggi.
E il carcere non ha preparato, ha impoverito, ha
infiacchito il già labile bagaglio che si possedeva. Si è stati solamente
«scongelati» dopo mesi, anni di congelamento inerte e ovviamente il «sapore» non
è cambiato.
Non è potuto cambiare.
Quella cella diverrà la sua seconda casa, da
abitare per qualche mese durante l’anno. Come in villeggiatura. Quando ritornerà.
Perché ritornerà.
Ecco perché il reo non avrà timore di tornare in
carcere.
Perché lì ritroverà, comunque, una sua casa e un
gruppo di «amici»: un qualcosa che non saprà più valutare criticamente ma che
accetterà passivamente. Come passivamente accetterà il fatto che, prima o dopo,
tornerà a delinquere.
Il carcere gli ha insegnato questo.
A molti ha insegnato questo.
( da "La Pena Visibile", di Salvatore Ferraro, pagg. 85-87, Rubbettino Editore)
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