venerdì 13 gennaio 2017
TULLIO
Oggi siamo andati a trovare Tullio, un ex-detenuto che in passato ha avuto dei ricoveri per problematiche psichiatriche. Siamo stati molto contenti di trovarlo, in fondo, in salute. Siamo stati contenti di trovarlo sorridente. Lui ci ha confermato che stava bene. Unico rammarico, ha detto, aver dovuto troncare di botto la relazione sentimentale che portava avanti da anni con Claudia Schiffer
lunedì 26 dicembre 2016
CAPODANNO IN CARCERE
Capodanno.
Sdraiato
sulla branda. Gli occhi fissi sul televisore spento.(da "Galera, le ultime incisioni", di S. Ferraro)
giovedì 19 maggio 2016
INNOCENTI
In carcere tutti si proclamavano
innocenti.
Non era uno scherzo, non era un
bluff.
Era un serio straripamento
psicologico. Uno scherzo della mente determinato dalla segregazione e dalle
inevitabili vessazioni che la persona tumulata in cella finiva per subire.
Tutto sembrava ingiusto, sproporzionato. L'autore del reato resettava la sua
responsabilità, la sostituiva con gli abusi e le illegalità che la galera
quotidianamente gli somministrava.
In carcere si ricreava la propria
innocenza anche, anzi soprattutto, da colpevoli.
Olivier, il ghanese, invece,
era innocente davvero. Così, almeno,
ripeteva a più riprese. Lo faceva già la mattina presto, all'apertura delle
celle per il passeggio mattutino, con i suoi semprepresenti cinque fogli giudiziari sulla mano destra: Olivier
fermava tutti i compagni di detenzione, gli agenti, gli infermieri, i volontari,
fermava tutti. Implorava attenzione.
Dava fastidio.
L'innocenza è sempre fastidiosa.
Soprattutto in un carcere.
Olivier Veniva spesso anche da
me, puntualmente durante il passeggio di mattina e non avevo tanta voglia di
ascoltarlo.
Fino a quel giorno avevo aiutato
chi avevo potuto. Scrivere in giuridichese, preparare un ricorso, una richiesta
di affidamento in prova, un permesso. Lo facevo sempre volentieri: tutta roba
per chi poteva aspettare mesi, anni.
Olivier, no. Aveva fretta. Era
innocente da subito. I suoi occhi strabuzzati reclamavano il sacrosanto diritto
di uscire. E prima possibile.
L'ingranaggio giustizia, però,
non funzionava così.
Il sistema giustizia era un meccanismo spietato, onnivoro, il cui
fine era quello di portare dei risultati "a bilancio" e nient'altro.
Non potevi avere fretta. Non potevi avere ragione. Erano gli altri a dover
decidere per te.
Nel suo
italiano malconcio, Olivier riusciva a dirmi sempre e solo due cose: "Sono
innocente". Troppo poco. I cinque,
striminziti, foglietti che teneva sempre in mano altro non erano che l'ordine
di carcerazione e una breve istanza fatta dal suo legale. Troppo poco anche
questo.
Però
insisteva, giorno dopo giorno, alla stessa ora, con la stessa modalità: sempre
quella sbagliata.
Quella
mattina, però, fu diverso. Lo vidi correre verso di me con una luce ficcante
negli occhi. Anche il foglio che teneva in mano era diverso: non il solito
fogliaccio bianco-sporco partorito da scialbi studi legali o oscene cancellerie
di tribunale ma un piccolo rettangolo verde-smeraldo sbiadito, qualcosa di più
vivo che veniva dal mondo di fuori: un telegramma.
Me lo
mise in mano. Mi chiese di leggerglielo. Lo feci.
"Caro Olivier, faremo di tutto per
dimostrare la tua innocenza. Intanto, però, mantieni la calma. Sappi
soprattutto questo: qualsiasi cosa accada, noi ti staremo vicino. Non
preoccuparti per il tuo posto di lavoro, GIURO che te lo conserverò fino al tuo
rientro qui a Vicenza.
Era
incredibile. A scrivere quelle cose non era sua moglie, la sua famiglia, gli
amici.
Era il
suo datore di lavoro.
Un
piccolo imprenditore del Nord-est,
Vicenza per la precisione. Un imprenditore del Nord-est di quelli che il
pregiudizio di allora ti faceva immaginare come insensibili, razzisti, legati
al profitto e pronti a cambiare e sostituire il proprio operaio
"negro" come una figurina qualsiasi.
Non preoccuparti per il tuo posto di lavoro,
GIURO che te lo conserverò fino al tuo rientro qui a Vicenza
Quelle
parole mi fecero tornare alla realtà. Mi svegliarono. Furono come un'esplosione. Il tunnel della rassegnazione si frantumò
(sbriciolò). La mia assuefazione al carcere, alle procedure, a una visione
sconfitta e preconfezionata del sistema giudiziario si disintegrò.
Il tutto
maturò e si consumò nei successivi tre giorni. La breve istanza fatta dal suo
legale conteneva un'unica richiesta: analizzare le impronte digitali di Olivier
e compararle con quelle del "fermato" e poi definitivamente
condannato che, al momento del primo
arresto, aveva utilizzato un documento falso recante lo stesso nome e cognome
di Olivier.
Era così
chiaro. Doveva esserlo già dall'inizio. Lo si capiva solo adesso. Due giorni
dopo Olivier fu scarcerato. Se ne tornava a lavoro nella sua Vicenza, dal suo
straordinario datore di lavoro. Volle salutarmi, farmi gli auguri.
Ogni
tanto gli innocenti uscivano di galera.
Capitava.
(scritto da S. Ferraro, da "Galera, le ultime incisioni)
mercoledì 20 aprile 2016
LINGUAGGI
LINGUAGGI
(Autolesionismo)
E bisogna, allora, parlare così. Con se
stessi. Su se stessi. Assassinandosi.
Autolesionismo. Un nuovo linguaggio. Un
modo nuovo per poter parlare… Col ferro ricavato da certi rasoi si finisce per
protestare le proprie ragioni spendendo il proprio stomaco o le proprie
braccia. E il sole la mattina racconta di queste nuove parole, segni secchi e
profondi su braccia e ventri tatuati, coniate a mano dal silenzio e dalla
disperazione sempre muta. Senza risposta. Senza più vita. (da Radiobugliolo, 2002, di S. Ferraro)
Makram si era cucito le labbra.
Con ago e filo. La sua bocca ora sembrava una cerniera di carne tenuta stretta
da un'erba sottile. La voce gli usciva flebile, solo un indistinguibile
mugugno, ma ora si faceva finalmente ascoltare.
Molti anni prima, Giorgio aveva
fatto qualcosa di simile. Si era inchiodato i testicoli su uno sgabello. Stessa
ragione: farsi ascoltare.
In genere, il linguaggio che si
usava in carcere per farsi ascoltare era meno eclatante: ci si tagliuzzava un
braccio, si lacerava lo stomaco, si accoltellava la gola. Quasi sempre si
utilizzava un rasoio ricavato da una scatoletta di tonno.
A parlare era poi il sangue che
colava a caldi fiotti preceduti tutti da un veloce, impetuoso, zampillo e le
orecchie del penitenziario finalmente si aprivano. Anche se per poco. Ma si
aprivano.
Era un linguaggio partorito dal
silenzio. Puro silenzio.
Ed era anche un silenzio totale a
precedere quel gesto. Quasi sempre di notte: una voce secca, sicura, diceva:
"Guardia venga alla cella numero 10!".
Significava che un detenuto
voleva essere ascoltato. Sangue, odore di sangue e non solo.
Non finiva lì. Quello era un
linguaggio perenne. Ogni giorno quell'esercito di silenziosi) era ben visibile
agli occhi di ognuno.
Braccia, gambe, colli e ventri
attraversati da solchi profondi, tagli di lametta, come strade irregolari. Un
tempo, attraversati da rivoli abbondanti di sangue. Ora più simili a torrenti
secchi. Quei tagli erano le loro parole, le sole possibili lì dentro. Per
essere ascoltato. In carcere succedeva
sempre così.
Le parole, quelle vere, erano
finite, asciugate, morte.
E non uscivano più, da tanto
tempo, da nessuna parte.
di S. Ferraro da "Galera, le ultime incisioni"
lunedì 11 aprile 2016
PALLE
"Burracchio" mi
raccontò che da giovane era stato un guerriero Ninja.
Mi disse anche che era stato
agente penitenziario nelle carceri del Venezuela, che sua moglie era Miss
Italia edizione 1989 e che lui si era laureato in Legge "direttamente con
Giulio Andreotti".
"Sperduto", invece, era
stato fidanzato con Monica Bellucci, suo cugino era stato nientemeno che il
costruttore del ponte che attualmente unisce Messina con Reggio Calabria e
Vasco Rossi era da tempo suo intimo amico.
La barca del "Capitano"
era lunga venti metri, la casa del "Malizia" era di 500 metri
quadrati, "Febi" aveva un tesoro messo da parte, il
"barese" era ricco sfondato coi soldi fatti vendendo scarpe sotto la
metropolitana di Bucarest.
La forza del carcere era proprio
questa: annullava la tua vera identità. In carcere ti potevi inventare quello
che non eri e diventarlo davvero per giorni, mesi, anni.
Per molti era un regalo
inaspettato. Potersi ricostruire una biografia,
una nuova vecchia esistenza, rendere il proprio passato più interessante
e movimentato. Renderlo, soprattutto, ricco.
....anche per questo molti, una
volta usciti di galera, desideravano ritornarci il più presto possibile
(di S. Ferraro, da "Galera, le ultime incisioni")
sabato 9 aprile 2016
LA PENA VISIBILE: ALCUNI GIUDIZI DEI LETTORI
Sto leggendo il tuo libro. lo trovo
interessantissimo, ben scritto e soprattutto invita a guardare le cose da un
altro punto di vista. merita il successo! oggi ne ho lette alcune pagine in
classe. Tutti hanno apprezzato, anche quelli perplessi
(E. A.)
CIAO
Salvatore, Il libro mi è sinceramente piaciuto e , ti dirò di più, mi ha
convinto. Non ho mai creduto all'efficacia del carcere neanche quando ci
lavoravo. Però mi hai chiarito alcune idee sulle logiche paradossali su cui si
basa.
(A.B.)
Ciao Salvatore,
ho letto il libro e devo dire che concordo pienamente su tutto quello che hai
scritto a tal punto che se potessi ti nominerei MINISTRO della GIUSTIZIA seduta
stante.
p.s. l'hai scritto in maniera perfetta, capibile ed esaustiva. Veramente
un opera degna di nota !!!
(D. M.)
Ciao
Salvo... anche io ho una grande fortuna.... aver letto il tuo libro! Direi che è stato illuminante, molto
impegnativo, ma molto molto illuminante
(C.M.)
Vera
rivoluzione. Grande
(R. G.)
Caro Salvatore,
davvero tanti complimenti per il saggio.
Hai uno stile incredibilmente efficace che ti ha consentito di scrivere un'opera che riesce ad essere al tempo stesso "colta" e "divulgativa".
Nella prima parte, con una velocità ed una chiarezza disarmanti, riesci a demolire tutti i pregiudizi sulla inevitabilità del carcere. E lo fai talmente bene che, quando si apre la seconda parte, il lettore non può non condividere la soluzione da te proposta, o almeno rimanerne suggestionato.
Consentimi una riflessione personale: hai subito un'immane ingiustizia, ma non essendo tu "uno dei tanti" sei riuscito a dare un senso anche alla tua incredibile vicenda. Se fossi rimasto "prigioniero" del mediocre e conformista mondo accademico, non saremmo qui a parlare della pena visibile. Questo non è certamente il "lato positivo" della tua vicenda, ma è un insegnamento per tutti e ti fa davvero tanto onore.
Con immensa stima
(C. F.)
E'
sidernese, l'autore letterario che ha sconvolto la mia visione sulla
letteratura della segregazione e molto di più...
(F. C.)
DIGRESSIONE...
E' successo stamattina in un Bar di Viale Ippocrate. La più classica delle scene. Una mosca nera atterra sul volto di un anziano e ci passeggia sopra. Questi, infastidito, è solerte a mollarsi un cinquino in faccia di violenza inaudita. Risultato: la mosca, stordita, vola via, la faccia dell'anziano però rimane devastata.
Non so a voi ma a me è sembrata una perfetta metafora del modo in cui stiamo provando a risolvere i problemi in questi tempi.
(S.F.)
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