In carcere arrivava un solo giornale. Ce lo davano gratis ogni settimana: si trattava di Famiglia
Cristiana. Lo trovavi puntualmente sopra la branda, al rientro del
"passeggio" mattutino, avvolto nel cellophan sporco.
Gli altri giornali dovevi ordinarli in anticipo.
Se volevi la copia del mercoledì, per esempio, la dovevi
ordinare quattro giorni prima e t'arrivava verso le 11,00 pieno zeppo di notizie ormai invecchiate.
Il costo del giornale, rispetto al prezzo di fuori, era quasi
raddoppiato. L'importo ti veniva detratto dal conto che i familiari (chi ce li
aveva) provvedevano periodicamente ad alimentare con un po' di denari (chi ce
li aveva).
In carcere si leggevano molti quotidiani. Ma il top era il "corriere dello sport".
Quasi tutti i detenuti
ordinavano una copia del corriere dello sport, lo si faceva a rotazione: i soldi erano davvero pochi.
Io allora ordinavo un altro giornale: La Repubblica.
Anche all'epoca era un giornale di merda ma, forse, un po' meno di oggi.
Dei giornali mi piacevano, soprattutto, gli inserti. Gli
inserti dei quotidiani, dentro il carcere, erano dei piccoli guerriglieri
rivoluzionari. Con i polpastrelli recidevi il cellophan e loro scivolavano per terra lasciando una scia di colore vivo
nel pavimento smorto e grigiastro della cella.
Erano pagine diverse, colorate, con molte foto. La cella
subiva uno shock. Troppo colore all'improvviso.
Raccoglievo quegli inserti, gli davo un'occhiata: era un
modo come un altro di passare il tempo.
Tutto qui.
Poi il venerdì era il "gran giorno" perché in
cella "atterrava" l'inserto grosso: il Venerdì di Repubblica. Ed era festa. Tanta carta, tante foto, tante
notizie e almeno un articolo meritevole di essere letto.
Ma soprattutto, il "Venerdì di Repubblica" aveva
LEI: la striscia.
Tecnicamente, una strip profumata che trovavi quasi sempre a
metà lettura. Scollavi il lembo adesivo, agitavi un poco, e il gioco era fatto.
La cella si riempiva di quell'essenza e, per un attimo, l'odore stantio, senza
vita, della cella veniva sopraffatto . La "botta" era forte. Quasi
sensuale.
Sollevavi il naso e aspiravi in profondità quella chimica
che confondevi per ossigeno puro, benevolo. Il profumo era una novità piacevole,
che cambiava l'umore della giornata.
Se ne era accorto Nicola che, quella strip imbevuta di
profumo, me la chiedeva sempre in dono. Io gliela allungavo dal blindato mentre lui
incollava il suo naso a quel lembo di
carta adesiva succhiandone la fragranza quasi fosse cibo salvifico.
Il carcere ha un odore terribile. Sa di morte. Quel profumo combatteva la morte e combatteva
il carcere.
Così ogni venerdì la scena si ripeteva. Sentivo i suoi
passi, alla solita ora. Nicola chiedeva l'autorizzazione ad accostarsi alla mia
cella, riceveva da me la strip
profumata. Le dava una prima poderosa aspirata e se la portava in cella per godersene
la linfa per ore e ore, fino a seccarla.
Pare che Nicola procedesse all'operazione di
"sniffo" standosene sdraiato sulla branda, con la testa ficcata sotto
il cuscino.
Ogni venerdì.
Non ho più rivisto Nicola. Intendo dire, fuori. Dovessi
incontrarlo gli chiederei solo di quelle strip. Gli domanderei se, in quei
mesi, l'hanno aiutato a vivere meglio la sua condizione di recluso. Se, magari,
quel profumo era il tentativo di far affiorare con più concretezza il ricordo
di una persona . O se era solo il semplice
desiderio di un respiro diverso. Gli chiederei se quelle fragranze l'hanno, in
qualche modo, aiutato ad andare avanti. O se, al contrario, oggi prova repulsione per
i profumi, tutti i profumi, per lui
ormai inevitabile e beffardo richiamo di quei terribili "Venerdì" di
prigione.
(di S.Ferraro, da Galera, le ultime incisioni)
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