Raggiunsi l'apice del degrado
della mia carcerazione un giorno d'estate.
Era Agosto, il mese del
silenzio e della morte. Almeno in carcere.
Tutti scappavano ad agosto: i
medici, i volontari, gli educatori, gli psicologi. La sorveglianza era
dimezzata, le celle, al contrario, si riempivano.
Ad Agosto, la società di
fuori approfittava delle vacanze per ripulire le strade da alcolizzati,
barboni, clandestini, ladruncoli, zingari. Tutti venivano stipati nelle celle
che divenivano un ammasso di caldo e sudore.
Quella mattina mi ero
svegliato con una sensazione sgradevole addosso, mal di testa, stanchezza,
stordimento da stress e nausea.
Intorno c'era cattivo odore, l'odore di pelle umana sporca uccideva l'aria.
L'acqua del rubinetto era di un caldo imbevibile. E non si respirava.
I giri di chiavi, il metallo
battuto nelle grate, le porte che si aprivano, il vociare sbiadito mi
ricordavano che era l'ora del passeggio.
Ma chi voleva uscire?
Mezzo reparto si era
allagato: tubo rotto. E l'acqua che ne era uscita era divenuta ormai stagnante
e puzzolente. Stavamo in una gabbia di caldo con l'odore di sporco.
E poi quella canzone: Calle Luna Calle Sol. Sparata nell'aria
da un esercito di televisori accesi coi volti dei detenuti nuovi, i detenuti di
agosto, a offrirmi il tragico ritratto della povertà.
Era tutto indigeribile.
Stavolta non c'era ironia,
non c'era rabbia, non c'era cattiveria, non c'era speranza in quelle facce.
C'era solo povertà. Povertà vera.
E il sole era cattivo,
l'acqua era tossica e la musica irrideva quella scena.
Ho ancora i brividi sulla
pelle.
(di S.Ferraro, da Galera, le ultime incisioni)